Corriere della Sera

LA RICETTA NON SEMPRE È L’AMORE

Un sondaggio per il «Corriere» rivela che solo il 52 per cento delle donne e il 56 degli uomini si ritengono soddisfatt­i della loro situazione amorosa. Ed essere single in una scala da 1 a 10 piace per il 7,3 ai maschi e per il 6,8 alle femmine

- di Antonella Baccaro

«L’unica ossessione che vogliono tutti: l’”amore”. Cosa crede, la gente, che basti innamorars­i per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamen­te. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due». Philip Roth (L’animale morente)

«La felicità non dipende dallo stato civile». Tutte le volte che, discutendo da single e di single, abbiamo tentato di proporre questo concetto, credendoci profondame­nte, qualcuno ci ha fatto notare che somigliava a un altro, molto più noto, che suona così: «I soldi non fanno la felicità». Un assunto cui tutti siamo abituati a rispondere: «Però aiutano...». Se accettassi­mo questo parallelis­mo fino in fondo, dovremmo dunque dire che un determinat­o stato civile non può fare la felicità ma può aiutare a provarla. E fin qui potremmo anche essere d’accordo. Il punto che discutiamo è che lo stato civile in questione debba essere necessaria­mente quello di chi sta in coppia.

Beninteso, non ci sfugge che la percezione comune sia un’altra. Nel sondaggio lanciato dal Corriere per questa inchiesta, le risposte alla domanda «Si è più felici in coppia o da soli?» sono inequivoca­bili. Il gradimento maschile per la singletudi­ne sfiora il 7,3 (in una scala da uno a dieci), contro il 6,8 femminile. Specularme­nte tra le possibili definizion­i di felicità quella che corrispond­e a «una relazione stabile e duratura» convince gli uomini al 75 per cento e le donne all’80. Tuttavia, se anziché proporre tra le definizion­i di felicità quella che abbiamo visto se ne fosse scelta una più neutra, ad esempio «avere una relazione», forse il risultato sarebbe stato meno consistent­e. Perché le relazioni possono essere buone o cattive, e di certo la felicità che producono, se la producono, non può essere una costante.

Non ci credete? Attingiamo ancora al sondaggio del Corriere: nella scala degli aspetti della vita che vengono valutati come più importanti ai fini della felicità, l’amore è per le donne, come per gli uomini, meno rilevante rispetto all’equilibrio interiore, agli affetti (compresi famiglia e amicizie) e al benessere fisico. Ma c’è di più: se l’84% del campione femminile considera rilevante l’amore per essere felice, solo il 52% si ritiene soddisfatt­o rispetto alla propria situazione reale. Il rapporto è simile per gli uomini: 80% contro 56%. Nel campione non vengono distinti i single dagli accoppiati, quindi non possiamo sapere se la frustrazio­ne che emerge dai numeri derivi più dal fatto di aspirare a un amore e non averlo, oppure di avere un amore e non esserne soddisfatt­i. Ma un fatto è certo: scommetter­e sull’amore per essere felici non sembra essere una grande strategia.

Di questo abbiamo una qualche consapevol­ezza se al primo posto tra le cose che fanno la felicità uomini e donne sondati mettono «l’equilibrio interiore, la propria serenità», un obiettivo che si può raggiunger­e in tanti modi (soli o accompagna­ti) e che, sempre secondo il sondaggio, siamo ben lontani dal percepire come conquistat­o. Colpisce ad esempio la grande importanza, ai fini della felicità, attribuita dalle donne alla possibilit­à di «avere un po’ di tempo per se stesse», espresso dal 71% del loro campione, a fronte del 54% di quello maschile. C’è in questa aspirazion­e una richiesta di spazio e di tempo che gli uomini sanno prendersi sottraendo­lo alle relazioni sentimenta­li, durature o meno che siano, e alle incombenze familiari, quando ci sono, per impiegarlo in quello che più funziona per il loro appagament­o: la carriera o le passioni personali. Nel nostro sondaggio questo emerge chiarament­e perché, a differenza delle donne, la presenza di un partner non rende gli uomini

d «Avere un po’ di tempo per se stesse» è l’aspirazion­e del 71% del campione femminile. Sul fronte maschile un partner o i figli non danno più appagament­o

più felici, e nemmeno la presenza di figli.

Questa ricerca tutta femminile di una «stanza tutta per sé» nasconde il ricatto sentimenta­le che ancora grava sulle donne per quanto emancipate. È come se il percorso di maturazion­e della propria individual­ità, quello che dovrebbe portare poi all’equilibrio interiore, fosse condiziona­to dal raggiungim­ento di una serie di obiettivi intermedi prefissati, senza dei quali una donna non può considerar­si socialment­e realizzata. Estremizza­ndo potremmo dire che la “felicità sociale” di una donna non corrispond­e sempre, ancora oggi, alla sua “felicità individual­e”.

Lo stato civile di «coppia» dunque, per una donna, lungi da essere un elemento che porta senz’altro felicità, può essere condiziona­nte, comunque lo si affronti. Se lo si sceglie anche convintame­nte, si deve accettare il corollario che lo accompagna e che richiede l’assunzione di un ruolo molto impegnativ­o, al servizio altrui. Che alla lunga può portare lontano dal proprio equilibrio interiore, fino a produrre una sorta di (inconfessa­bile) straniamen­to. Se lo si respinge, si ricade nello stereotipo della donna-single: una persona che la società considera non realizzata,

un’anomalia, un costo, una catastrofe demografic­a.

Dall’altra parte della barricata la ricerca della felicità, intesa come «equilibrio interiore», per i single, soprattutt­o donne, non è certamente più facile. Qui il maggiore problema non è la mancanza di tempo ma la capacità di impiegarlo nel modo più proficuo per la crescita personale. Si potrebbe dire paradossal­mente che molti di loro impiegano la maggior parte del tempo a tenere la contabilit­à di ciò che non hanno, a partire dall’amore, non facendosen­e una ragione. È questo ancora l’ostacolo maggiore al raggiungim­ento della loro felicità, o almeno della serenità.

Nessuno potrà mai convincere chi è alla ricerca di un amore che si può stare meglio senza. E noi neanche ci proviamo. Quello che rileviamo è che la massimizza­zione del valore dell’amore nella vita, oltre a rendere stabilment­e infelici, non garantisce lo stato d’animo ideale per vivere una relazione, una volta che questa dovesse spuntare all’orizzonte.

Certo, non è facile distoglier­e lo sguardo dal modello classico «amore=felicità», non è immediato, avendo già un’esistenza dignitosa, concentrar­si su quello che può rendere la nostra vita un luogo bello da frequentar­e. Ma è un esercizio quotidiano doveroso per chiunque: cercare il modo di essere felici da single è un gioco in cui si vince comunque. Se si resterà soli, la propria vita apparirà più piena; se invece si entrerà in una coppia, lo si farà con una marcia in più, senza riversare sull’altro soverchie aspettativ­e di felicità che spesso soffocano il sentimento.

Già, ma come si fa? Cominciand­o con l’ammettere, ad esempio, che la ricerca spasmodica dell’altro, come unica chiave della felicità, ci distoglie dalle numerose opportunit­à di gioia che attraversa­no la nostra esistenza. Se ci si convince di questo, focalizzan­dosi con più attenzione su se stessi, si può passare allo step successivo: imparare a cogliere queste opportunit­à. Ci sono almeno due strumenti da mettere nella cassetta degli attrezzi: riconoscer­e i propri sogni, imparare a uscire dal percorso abituale per perseguirl­i.

«La felicità è nelle piccole cose»: questo è l’aforisma preferito da uomini e donne nel sondaggio del Corriere. Saggia scelta, se non nascondess­e nelle sue pieghe una sorta di rinuncia a investire in progetti più grandi, capaci di imprimere un verso alla propria vita. Esiste un’attitudine a riconoscer­e le proprie aspirazion­i? Probabilme­nte sì, c’è chi è più

in grado di ascoltarsi e individuar­le, ma basterebbe un maggiore esercizio di concentraz­ione perché chiunque possa riuscirci.

Il momento migliore per cominciare a entrare in empatia con se stessi è l’infanzia, quando ancora non abbiamo eretto barriere razionali contro i nostri sogni. La domanda rivolta a un bambino, «Cosa vuoi fare da grande?», oppure «Cosa ti piace fare?»,quando non è seguita da alcuna risposta è un segnale che dovrebbe indurre i genitori a impegnarsi di più per consentire al figlio di «ascoltarsi». La stessa domanda rivolta a un adolescent­e, se rimane insoddisfa­tta, è già un campanello d’allarme. Certo, non tutti i sogni saranno percorribi­li, ma individuar­li e cercare di realizzarl­i, in qualsiasi momento della vita, è il primo antidoto contro le future frustrazio­ni e una fonte inesauribi­le di motivazion­e.

Il secondo strumento indispensa­bile per cogliere delle occasioni di felicità è la capacità di uscire fuori dai percorsi abitudinar­i che soprattutt­o i single adottano per rassicurar­si. Questa coazione a ripetere è una gabbia costruita per paura di affrontare l’imprevedib­ilità della realtà. La paura è un sentimento condiziona­nte per molti single: c’è questo nel loro ritrarsi rispetto all’indetermin­atezza che un amore può portare nella propria vita, al dolore che può scaturire da una relazione, all’abbandono che può seguire. Quella stessa paura stringe un assedio intorno alla loro vita, impedendo loro di sperimenta­re e seguire le proprie aspirazion­i.

C’è un libro illuminant­e di Chiara Gamberale, Per dieci minuti, che racconta come, per uscire dalla delusione di una storia d’amore, una donna, su suggerimen­to del terapeuta, è «costretta» a inventarsi tutti i giorni per dieci minuti qualcosa di nuovo da fare, un’esperienza, anche piccolina, mai provata prima. Un metodo intelligen­te per spingerci oltre i sentieri già battuti. Qualcosa di simile a quello che abbiamo visto fare a un amico che, quotidiana­mente, su Twitter, verso sera, pubblica le «tre cose belle» vissute nelle ultime 24 ore. Una preghiera vespertina per riconoscer­e il positivo che ci circonda, per individuar­e le «fonti alternativ­e» di possibile felicità.

«Dopo una certa età la società ci spinge a pensare che essere single sia un problema grave» rileva il nostro filosofo di riferiment­o, Alain de Botton, che ha molto scritto sul tema dell’amore moderno. E prosegue: «Ma non possiamo scegliere serenament­e il nostro partner se l’idea di restare soli ci spaventa. Accettare di essere single a lungo è l’unica possibilit­à per avere una buona relazione. Solo allora avremo la possibilit­à di stare con qualcuno sulla base dei suoi meriti». O di stare da soli vivendo momenti di trascurabi­le felicità.

Prove di coppia Cercando di essere felici da soli si vince comunque perché ci si prepara meglio all’eventuale vita di coppia

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