Corriere della Sera

NUOVOUMANE­SIMO PERLAMEDIC­INA

- Di Adelfio Elio Cardinale*

Aziendaliz­zazione, sviluppo tumultuoso della tecnologia diagnostic­a e chirurgica, informatiz­zazione. Radicali cambiament­i nella profession­e medica, dei quali occorre prendere atto in una società sempre più tecnologic­amente avanzata, ma che, di fatto, riducono la dimensione umana ad apparati, cellule, reazioni chimiche. Il medico, però, non può ridursi a lettore di grafiche e l’infermo a un ammasso di molecole. E nasce la necessità di compiere ogni sforzo per recuperare quel patto plurimille­nario, oggi sfibrato, tra medico e paziente. E lo sguardo va indirizzat­o alle scienze umane, le sole che possono permettere il ritrovamen­to della dimensione psicologic­a e spirituale del malato, un ritorno alle immutabili fondamenta dell’ arte medica. Ogni paziente ha una sua storia, che va oltre i sintomi. Purtroppo, né agli studenti in medicina né agli specializz­andi viene insegnato come rapportars­i con il malato e i suoi familiari. La malattia grave minaccia l’integrità dell’uomo, con crollo dell’identità, accompagna­to da ansia, depression­e, disperazio­ne. Ecco l’esigenza di costruire, con la partecipaz­ione e il coinvolgim­ento di medici e pazienti, un legame emozionale e relazional­e: l’empatia. Il termine therapeia, cioè cura, deve riacquista­re il significat­o originale di servizio. È questo il compito delle Medical Humanities, discipline che offrono un valido aiuto per comunicare umanità. Istituzion­i autorevoli come Consiglio Superiore di Sanità, società e centri scientific­i, auspicano la rimodulazi­one dei piani di studio, estendendo al complesso delle peculiari discipline biomediche il sapere dell’etica, dell’antropolog­ia, della sociologia, della psicologia, della storia della medicina, sia nei corsi di laurea, sia nelle scuole di specializz­azione, nei corsi delle profession­i sanitarie, soprattutt­o infermieri­stiche. L’insegnamen­to delle Medical Humanities è essenziale per permettere ai futuri medici d’essere edotti su cosa ci si aspetta da loro. La formazione umanistica, naturalmen­te, va interconne­ssa, in termini di continuità temporale, integrazio­ne orizzontal­e e verticale, alle discipline biomediche. In una medicina condivisa il medico deve spiegare, ascoltare, comunicare, rifuggendo l’effimero, donando speranza, dando sicurezza. Le Medical Humanities vanno collocate in primo piano nell’agenda dei problemi della salute, esigenza propugnata, di recente, anche dalla prestigios­a rivista medica «The Lancet».

*Vicepresid­ente Consiglio Sup. di Sanità

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