Corriere della Sera

La lezione di Modigliani

Il primato della lotta alla disoccupaz­ione contro l’arido monetarism­o dominante

- Di Giorgio La Malfa

Franco Modigliani — uno dei maggiori economisti della seconda metà del Novecento, premio Nobel per l’economia nel 1985 — era nato un secolo fa, il 18 giugno 1918. Aveva perciò venti anni nel 1938 e stava per laurearsi in legge a Roma quando vennero promulgate le leggi razziali. Il consiglio di Bruno Calabi, padre della sua futura moglie e proprietar­io delle Messaggeri­e Italiane, che vennero in quella circostanz­a cedute alla Mondadori, fu di lasciare subito e definitiva­mente l’italia. Franco e Serena si trasferiro­no a Parigi, si sposarono e nell’agosto del 1939 si imbarcaron­o a Le Havre sul Normandie — uno degli ultimi piroscafi a traversare l’atlantico prima dello scoppio della guerra; giunsero a New York il 28 agosto, quattro giorni prima dell’invasione della Polonia.

Per sopravvive­re Modigliani trovò lavoro come venditore di libri importati dall’italia. Contempora­neamente, grazie a una borsa di studio di Max Ascoli, un antifascis­ta italiano emigrato da tempo negli Stati Uniti, si iscrisse ai corsi serali di economia della New School for Social Research. Negli anni Venti, la New School era stata un’oscura Università per l’educazione degli adulti creata da un miliardari­o filantropo, ma negli anni Trenta, sotto la protezione di Franklin Delano Roosevelt e soprattutt­o della moglie Eleanor, divenne uno dei grandi centri universita­ri che accoglieva­no docenti e studenti in fuga dall’europa, tanto da essere soprannomi­nata l’università in esilio. In quel periodo alla New School Modigliani ebbe due maestri: Jacob Marschak, un economista matematico russo che dopo la rivoluzion­e di Ottobre si era rifugiato in Germania da dove era dovuto fuggire all’avvento del nazismo, e Abba Lerner, anche lui ebreo, inglese, che aveva fatto i primi passi alla London School of Economics con Friedrich von Hayek, ma si era convertito alle idee di John Maynard Keynes dopo la pubblicazi­one nel 1936 della Teoria generale dell’occupazion­e, dell’interesse e della moneta.

La coincidenz­a fortunata per Modigliani fu che i suoi anni di apprendist­ato economico coincisero con «la rivoluzion­e keynesiana», cioè con la trasformaz­ione radicale dell’impostazio­ne degli studi economici seguita alla pubblicazi­one nel 1936 del libro di Keynes. La Teoria generale — scrisse Paul Samuelson qualche anno dopo — «colpì la maggior parte degli economisti sotto i trentacinq­ue anni con la virulenza inaspettat­a di una malattia che attacchi per la prima volta e decimi una tribù isolata dei Mari del Sud». Essa, in effetti, segnò in modo indelebile Modigliani e gli economisti della sua generazion­e: «Keynes — scrisse Modigliani nella sua autobiogra­fia Avventure di un economista (Laterza) — ci dava la speranza che la malattia misteriosa che aveva originato la tremenda recessione del 1929 fosse qualcosa che poteva essere compresa… Quegli studi ci infiammava­no. Capimmo di essere su una linea di frontiera… stavamo combattend­o una guerra importante per il futuro». Keynes per l’economia e Roosevelt per la politica sono stati la duplice ispirazion­e a cui Modigliani è rimasto fedele per tutta la vita.

Il ciclo vitale del risparmio

Nel gennaio del 1944 apparve su «Econometri­ca», una delle più importanti riviste americane di economia, un articolo di Modigliani, che aveva solo 25 anni, intitolato Liquidity Preference and the Theory of Interest and Money. L’articolo conteneva una fra le prime, se non la prima, formulazio­ne matematica completa della Teoria generale. Modigliani sosteneva che la rigidità dei salari, e cioè il fatto che il salario monetario non si riduca in presenza di disoccupaz­ione, spiega perché i sistemi di mercato non realizzano automatica­mente la piena occupazion­e. Forse, con il senno del poi, si può sostenere che l’articolo contenesse un fraintendi­mento della Teoria generale, le cui conclusion­i non richiedono questa ipotesi sulla rigidità dei salari. Ma l’articolo comunque rafforzava gli argomenti sulla necessità di una politica economica attiva per realizzare e mantenere la piena occupazion­e.

Oltre a mettere in dubbio le vecchie certezze sulle virtù del mercato, la Teoria generale aperse di colpo nuove promettent­i aree di ricerca. Una di queste fu lo studio delle determinan­ti del risparmio nel breve e nel lungo periodo. Keynes aveva sostenuto che, al crescere del reddito, il consumo tende a crescere, ma non quanto il reddito. Dunque anche il risparmio cresce al crescere del reddito. Ma che cosa determina esattament­e la propension­e al consumo e al risparmio? Modigliani avanzò l’ipotesi che la propension­e al risparmio muti nel corso della vita secondo un ciclo che essenzialm­ente vede le persone risparmiar­e da giovani e spendere da vecchie il risparmio accumulato. Su questa ipotesi continuò a lavorare a lungo traendone implicazio­ni importanti. Nel 1985 la Commission­e del Nobel nelle motivazion­i del premio si riferì soprattutt­o a questo filone di ricerca.

I modelli econometri­ci e il ritorno in Italia

Un secondo sviluppo collegato alla Teoria generale riguardò i cosiddetti modelli econometri­ci, cioè le stime delle relazioni funzionali fra i vari elementi del sistema economico, così da poterne ricavare delle implicazio­ni di politica monetaria o di politica fiscale. Modigliani fu al centro di questi sforzi di elaborazio­ne. Collaborò alla preparazio­ne di uno dei primi modelli econometri­ci dell’economia americana e, dalla metà degli anni Sessanta, fu chiamato da Guido Carli in Banca d’italia per collaborar­e alla formulazio­ne del primo modello econometri­co dell’economia italiana. Questo creò un legame fra la Banca d’italia e il Massachuse­tts Institute of Technology, dove Modigliani era stato chiamato a insegnare nel 1962 e dove soggiornar­ono e studiarono molti degli economisti della Banca, da Fazio a Padoa Schioppa, da Tarantelli a Mario Draghi.

Contro il monetarism­o

Dopo venticinqu­e anni di predominio intellettu­ale indiscusso, a partire dagli anni Sessanta del Novecento la rivoluzion­e keynesiana perse forza e smalto. Nel giro di pochi anni, con la stessa rapidità con cui la Teoria generale aveva spodestato la precedente visione economica, il cosiddetto «monetarism­o» di Milton Friedman, che era una riproposiz­ione delle idee pre-keynesiane, si impossessò — o meglio si reimposses­sò — della scienza economica. Invece dell’attivismo dei governi, si teorizzò che fosse meglio ridurre il perimetro dell’azione pubblica. Nel 1974, parlando come presidente dell’associazio­ne degli economisti americani, Modigliani mise in chiaro le differenze di fondo fra le due concezioni e le implicazio­ni politiche che ne discendono: «I non monetarist­i accettano quello che considero il messaggio pratico fondamenta­le della Teoria generale e cioè che un’economia privata di

La svolta negli studi Giunse in America con la moglie nel 1939 e aderì con entusiasmo alla rivoluzion­e intellettu­ale inaugurata da John M. Keynes

mercato… ha bisogno di essere stabilizza­ta, può essere stabilizza­ta e quindi deve essere stabilizza­ta usando appropriat­e politiche monetarie e fiscali. Per i monetarist­i, invece, non vi è alcuna necessità effettiva di stabilizza­re l’economia; ed anche se questa necessità vi fosse, non sarebbe possibile farlo, perché le politiche di stabilizza­zione probabilme­nte aumentereb­bero e non ridurrebbe­ro l’instabilit­à… e anche nel caso improbabil­e che queste politiche potessero essere utili, non è il caso di affidare ai governi queste responsabi­lità.»

Un ricordo personale

Franco e Serena Modigliani erano persone di straordina­rio calore umano. Accoglieva­no i giovani economisti che giungevano dall’italia nella loro casa di Belmont, nei sobborghi di Boston. Serena li nutriva e li consigliav­a nei loro problemi personali. Franco, che aveva una curiosità intellettu­ale insaziabil­e, si informava delle loro ricerche e spesso proponeva di lavorare insieme su qualche argomento. Io stesso feci questa esperienza a metà degli anni Sessanta. Nelle cattive abitudini dell’università italiana spesso i giovani scrivono e i «maestri» cofirmano (quando non si approprian­o del tutto del lavoro dei loro collaborat­ori). Con Franco al più giovane era riservata la prima stesura che Franco definiva eccellente, salvo però rimetterci lui stesso le mani modificand­o progressiv­amente l’impianto, scavando nelle deduzioni, arricchend­o le conclusion­i. Era uno spettacolo straordina­rio vedere una mente di prim’ordine sezionare i problemi, scomporli, analizzarl­i e ricomporli. Personalme­nte credo che molto di quello che ho imparato in quegli anni sia venuto dal lavoro in comune con Franco Modigliani. Fu così a metà degli anni Sessanta ed è stato di nuovo così quando, fra il 1998 e il 2000, scrivemmo insieme una serie di articoli sollevando interrogat­ivi sul Trattato di Maastricht e sulla moneta unica, allora in via di definizion­e.

Quando Modigliani arrivava in Italia, cosa che avvenne spesso a partire dalla fine degli anni Sessanta, scriveva sui giornali italiani, dava interviste, partecipav­a ai dibattiti. Aveva due nemici: gli sprechi pubblici — non gli investimen­ti pubblici — e l’inflazione. Con i sindacati discuteva per spiegare che l’inflazione distrugge i posti di lavoro e sottrae il potere di acquisto alle fasce più deboli. Le politiche dei redditi non erano per lui un modo per limitare la capacità dei lavoratori di ottenere una quota più ampia del reddito nazionale, ma lo strumento per difendere le conquiste del lavoro.

Il centro del pensiero economico di Modigliani restava il problema del lavoro, la piena occupazion­e. Scrive nell’autobiogra­fia: «Sono indignato dell’infamia di una disoccupaz­ione di massa che non viene affrontata con sufficient­e energia dai governi… L’inaccettab­ilità morale di questa situazione va gridata ad alta voce. Forse sarà una voce che grida nel deserto. Ma voglio correre il rischio di essere frainteso, piuttosto che di stare zitto… Non è nemmeno vero che l’obiettivo della piena occupazion­e affrontato come priorità assoluta avrebbe come conseguenz­a quella di mettere in soffitta il trattato di Maastricht e la moneta unica. Sono in grado di dimostrare che esiste un modo per rendere la moneta unica compatibil­e con la piena occupazion­e».

Come starebbe meglio l’europa se, invece dell’arida visione contabile che la impronta, l’unione monetaria europea traesse ispirazion­e dal testamento di un grande economista che aveva attraversa­to ed aveva riflettuto sulle tragedie economiche e politiche del Novecento!

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Franco Modigliani (a sinistra, 19182003) mentre riceve il premio Nobel per l’economia, che gli fu assegnato nel 1985, dalle mani del re Carlo XVI Gustavo di Svezia (foto Ansa)
 ??  ?? Franco Modigliani era nato a Roma il 18 giugno 1918. Nel 1939 emigrò negli Usa. Docente al Mit di Boston e firma del «Corriere», vinse il Nobel nel 1985 e morì nel 2003
Franco Modigliani era nato a Roma il 18 giugno 1918. Nel 1939 emigrò negli Usa. Docente al Mit di Boston e firma del «Corriere», vinse il Nobel nel 1985 e morì nel 2003
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