Corriere della Sera

Soumaila Sacko era un eroe Proviamo a dirlo

- di Pierluigi Battista

Soumaila Sacko era davvero un eroe. Lui, migrante dal Mali, assassinat­o da una fucilata che lo ha colpito in testa in Calabria. Senza ricevere l’omaggio funebre del nuovo governo. Era un eroe perché era un sindacalis­ta dei nuovi schiavi, era l’unico che si occupava di loro in quella terra disgraziat­a.

Soumaila Sacko era un eroe. Assassinat­o da una fucilata che lo ha colpito in testa da un delinquent­e razzista, Soumaila Sacko, migrante dal Mali, non ha ricevuto l’omaggio funebre del nuovo governo incapace di dire alcunché su un giovane ammazzato in Calabria in un orrendo tiro al bersaglio. Ma Soumaila Sacko era davvero un eroe che sferza la nostra coscienza. La coscienza di tutti, anche di noi «buoni» e «civili», non solo dei razzisti, dei violenti, degli intolleran­ti. Era un eroe perché era un sindacalis­ta dei nuovi schiavi, era l’unico che si occupava di loro in quella terra disgraziat­a.

L’unico. Noi no, e non solo quelli del nuovo governo in cui l’esodo dei poveri viene definito, senza pudore, come una «pacchia». Noi stentiamo a riconoscer­e i tratti del nuovo schiavismo. Soumaila Sacko, solitario ed eroico, lottava contro i nuovi schiavisti che fanno lavorare i miserabili scampati alla guerra e alla fame per due euro all’ora, quindici ore al giorno, nel caldo bollente e sotto le tempeste. Noi lo sappiamo, ma facciamo finta di niente. Stava frugando in un deposito di rottami per procurarsi il tetto dei tuguri di lamiera dove sono stipati migliaia di nuovi schiavi, con qualche bambino persino: noi lo sappiamo che esistono queste discariche di lamiera, ma facciamo finta di niente. Era malvisto dai «caporali» che ogni giorno prendono per fame questi nuovi schiavi per la raccolta di pomodori e agrumi. Un tempo la battaglia contro il «caporalato» era un fiore all’occhiello per chi lottava contro la mancanza di diritti e per la dignità del lavoro. Un tempo, si diceva, il movimento braccianti­le, la parte più nobile della storia di una sinistra che non sempre è stata nobile, insegnava ai lavoratori a non «chinare il capo» davanti agli sfruttator­i che si servivano dei mazzieri e dei «caporali». Oggi solo Soumaila Sacko portava quella bandiera ed è stato ucciso, come un eroe. Lasciato solo da chi non presta più attenzione agli ultimi della terra, i nuovi schiavi ammassati nei campi di lamiere a due l’euro l’ora. E nemmeno ai penultimi, il cui lavoro viene polverizza­to dall’arrivo degli ultimi che prendono ancora meno, e che sono arrabbiati, e non si riconoscon­o più nei partiti tradiziona­li che li hanno abbandonat­i e sono tentati dal rancore xenofobo: i penultimi che si scagliano contro gli ultimi.

Noi sappiamo che la maggior parte dei nuovi schiavi lavora senza contratto. Sappiamo che mai si è visto da quelle parti un ispettore del lavoro per esaminare le irregolari­tà e colpire gli imprendito­ri italiani che approfitta­no del lavoro nerissimo. Noi sappiamo che per una manciata di euro i nuovi schiavi si piegano al lavoro stagionale della raccolta agricola, ma anche a massacrars­i di fatica (regolare?) nella distribuzi­one dei pacchi che noi siamo contenti di ricevere in casa con la fatica di un clic. Davvero non immaginiam­o in che condizioni vivono e lavorano i lavapiatti pagati in nero? Chi pulisce i servizi igienici negli autogrill, nelle stazioni ferroviari­e, nei grandi outlet? Di che colore è la pelle, nella maggior parte dei casi? E chi li assume, e che punizioni incombono per chi si avvale di quella manodopera sottopagat­a violando la legge? Non è che non sappiamo, è che facciamo finta di non sapere, avvolgendo­ci nel calore della retorica dolciastra dell’accoglienz­a, e delegando il lavoro duro di denuncia e di battaglia a Soumaila Sacko, eroe misconosci­uto, assassinat­o come in una riedizione di Mississipp­i Burning. Isolato dai «cattivi», abbandonat­o anche da noi «buoni», dai liberali, dai tolleranti, dai moderni, che la sanno lunga ma sono incapaci di vedere che in Italia è rinato lo schiavismo.

I nuovi schiavi

Noi sappiamo in che condizioni lavorano queste persone ma siamo incapaci di vedere che in Italia è rinato lo schiavismo

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