Corriere della Sera

Con i tweet contro le élite (europee) Il falco in missione per Donald

Gay, molto vicino a Bolton, incendiari­o: chi è Richard Grenell

- dal nostro corrispond­ente a Berlino Paolo Valentino

C’è un ambasciato­re in Germania deciso a «incoraggia­re i movimenti populisti d’europa a ribellarsi contro le élite». Che vuole «rafforzare altri conservato­ri e altri leader nella loro battaglia contro gli establishm­ent politici e mediatici». Che invita apertament­e «alla rivolta nei confronti di chi pretende di stabilire in anticipo l’esito di una elezione», promettend­o «sostegno massiccio».

No, non è l’ambasciato­re russo. È Richard Grenell, da meno di un mese capo della missione diplomatic­a americana a Berlino. Lo ha scelto personalme­nte Donald Trump. E da quando ha messo piede nella capitale tedesca, non passa giorno senza che si faccia beffe di ogni regola diplomatic­a, di ogni convenzion­e, di ogni dovere di non interferen­za negli affari del Paese, in questo caso addirittur­a del Continente che lo ospita. «Il falco che strilla», lo ha ribattezza­to Der Spiegel.

Le dichiarazi­oni affidate da Grenell a Breitbart London, versione inglese del celebre sito ultraconse­rvatore di Steve Bannon, sono solo le ultime in ordine di tempo. Ma sicurament­e sono anche le più gravi. «È una fase molto eccitante per me — ha detto l’ambasciato­re —, non c’è dubbio che i conservato­ri abbiano il vento in poppa in Europa. L’elezione di Donald Trump ha messo nuovi individui e gruppi in condizione di opporsi alle classi politiche che vorrebbero determinar­e già prima di una elezione chi vince e chi governa». Grenell sogna addirittur­a una strategia, per appoggiare in tutta l’europa candidati e forze consistent­emente conservatr­ici. Un nome per tutti: quello del cancellier­e austriaco Sebastian Kurz, che il nostro definisce una «rockstar» e del quale si dice «grande fan». Quanto alla Germania, aggiunge Grenell con un vocabolari­o che sembra uscito da un documento di Alternativ­e für Deutschlan­d, il suo problema più grande oggi è «l’immigrazio­ne a catena».

Cinquantun’anni, laureato ad Harvard, all’evidenza Richard Grenell si sente investito di una missione in nome e per conto di Donald Trump, il suo sistema ideologico, la sua visione sovranista dei rapporti internazio­nali. Un mese fa aveva appena presentato le credenzial­i al presidente della Repubblica, Frank-walter Steinmeier, che subito si era prodotto in un tweet intimidato­rio, dopo l’annuncio con cui Trump aveva ritirato gli Usa dall’accordo nucleare con Teheran: «Le aziende tedesche smettano di fare affari con l’iran, immediatam­ente». Forse solo nelle dittature sudamerica­ne degli Anni Settanta, un ambasciato­re Usa si poteva permettere cose simili.

Ma Grenell è fatto così. Twitta quanto e più del suo presidente. Ama la provocazio­ne più del compromess­o. E soprattutt­o è fuori da ogni schema, diplomatic­o, politico e personale. Non ultimo, il fatto che sia dichiarata­mente gay e sia arrivato a Berlino con il suo partner, Matt Lashey, un «nerd» che sviluppa applicazio­ni per la salute e il loro cane Lola. Non una condizione semplice, la sua omosessual­ità, dentro il Partito repubblica­no. Nel 2012 Grenell fu costretto a dimettersi dal team di politica estera del candidato presidenzi­ale Mitt Romney, di cui era portavoce, perché i gruppi della destra evangelica erano insorti contro di lui.

I suoi legami forti però li aveva già costruiti e alla fine gli sono serviti. Il primo e più antico è quello con l’ex governator­e di New York, George Pataki, di cui fu l’addetto

La vita privata La sua omosessual­ità gli costò il posto nel team Romney per le proteste della destra evangelica

stampa. Poi venne il senatore John Mccain, per il quale Grenell lavorò nella sfortunata campagna del 2000 contro George W. Bush per la nomination repubblica­na. Infine, e siamo all’attualità, decisivo è il legame con John Bolton, il falco dei falchi da poco entrato nello staff di Trump come consiglier­e per la sicurezza nazionale: Grenell ne fu il portavoce nel 2005-2006, quando questi era l’ambasciato­re di George W. Bush alle Nazioni Unite. Da allora Bolton è il suo mentore, la persona dell’amministra­zione a lui più vicina.

Da ambasciato­re a Berlino, Grenell vuole violare un altro tabù, facendosi attivista politico. Ma questa volta rischia grosso. È arrivato in Germania, dove le regole sono tutto.

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