Gli Oceani e le aree senza ossigeno che pregiudicano la (nostra) vita
Gli oceani stanno morendo, soffocati da una progressiva estensione delle zone prive di ossigeno, dove l’ambiente acquatico diventa inospitale per la maggior parte degli animali marini. Il numero delle zone morte oceaniche in cui l’ossigeno disciolto nell’acqua raggiunge valori molto più bassi di quelli registrati finora, rendendo impossibile la vita, cresce inesorabilmente. Lo denuncia uno studio su Science: negli ultimi 70 anni, le zone morte oceaniche sono quadruplicate in mare aperto e cresciute fino a dieci volte vicino agli estuari o nei mari con minore circolazione. Alcune ricerche hanno confermato che l’impoverimento di ossigeno è cresciuto negli anni 80 a un ritmo 2 o 3 volte superiore rispetto a quello originariamente previsto: il cambiamento climatico e l’innalzamento delle temperature hanno provocato una minore idrosolubilità dell’ossigeno. Elemento che mette in pericolo le forme di vita negli abissi. Si tratta di un’epidemia silenziosa — che gli ecologisti cercano di portare all’attenzione in occasioni come la Giornata mondiale dell’ambiente, oggi, e quella degli oceani, venerdì — che non riguarda solo gli animali marini, ma anche gli esseri umani, la cui vita è legata a doppio filo con il mare. Alcune tra le principali estinzioni di massa sono infatti state associate ad acque oceaniche calde e anossiche. Le zone morte sono però reversibili se le loro cause sono eliminate: un esempio recente e virtuoso è rappresentato dagli sforzi compiuti lungo il fiume Reno per ridurre le acque reflue e le emissioni industriali: l’azione di istituzioni pubbliche e private, cittadini e aziende ha permesso di ridurre i livelli di azoto nella zona morta del Mare del Nord di oltre il 35%.
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