Corriere della Sera

All’attacco per i commerci

- di Massimo Gaggi

La strategia dell’imprevedib­ilità del presidente americano Donald Trump ha un obiettivo: attaccare gli alleati sul commercio.

Sempre più teatrale e convinto che la sua carta migliore non sia l’affidabili­tà del presidente della superpoten­za garante degli equilibri mondiali, ma l’imprevedib­ilità del giocatore d’azzardo che non mette il ruolo geopolitic­o dell’america in cima alle sue priorità, Donald Trump ha devastato il G7 prima di partire da Washington e, di nuovo, al suo arrivo in Canada con annunci bellicosi a raffica: toni da resa dei conti contro gli alleati più stretti degli Stati Uniti (l’unione Europea e il Canada). La richiesta di riportare la Russia nel G8 dopo che erano stati proprio gli Usa i principali sostenitor­i di una sua sospension­e in seguito all’annessione della Crimea: una richiesta concepita male e formulata senza nemmeno tentare di preparare il terreno con la conseguenz­a di irritare i partner europei mentre perfino Putin si è permesso di snobbarla con uno sprezzante «non ci interessa».

E, poi, l’annuncio che ripartirà prima della fine del vertice con l’evidente intenzione di provocarne il mezzo fallimento: niente conclusion­i condivise, nè conferenze stampa finali. Sempre che il gusto di fare notizia anche con repentini cambiament­i di rotta non produca oggi altre sorprese (la foto di gruppo con sorrisi è stata già recuperata).

Frenato per un anno dai collaborat­ori che lo hanno affiancato nel suo primo periodo alla Casa Bianca — uomini di Realpoliti­k come Cohn, Tillerson e Mcmaster proveninen­ti dalla finanza, dalla grande industria e dal Pentagono — ora Trump ostenta un vero e proprio culto dell’imprevedib­ilità: il modo nel quale il più potente leader mondiale piega le esigenze della diplomazia e della cooperazio­ne internazio­nale alla sua indole di mercante che negozia su tutto sorprende e destabiliz­za tanto i suoi interlocut­ori politici quanto gli analisti.

In realtà avremmo forse dovuto prevedere la sua imprevedib­ilità fin da quando, nell’aprile 2016, in piena campagna per le elezioni presidenzi­ali, The Donald, nel suo primo discorso dedicato alla politica estera, sostenne che «come nazione dobbiamo essere totalmente imprevedib­ili. Non come oggi: siamo prevedibil­i su tutto».

A ben vedere, però, in tutta questa imprevedib­ilità, un filo conduttore c’è: nel dispiegare la sua politica estera, il presidente mercante non si fa forte del ruolo geopolitic­o dell’america e della sua potenza militare. Preferisce invece usare, come strumento di pressione, l’enorme forza d’urto dell’accesso al mercato interno americano, il più vasto e ricco del mondo.

Il bullismo digitale degli scambi di tweet nel quale Trump, Macron e Trudeau si accusano reciprocam­ente di non stare ai patti e di comportame­nti sleali sul piano commercial­e non nasce da sortite impulsive del presidente Usa: la Casa Bianca ha ormai lanciato una campagna che ha il sapore di una sorta di «tolleranza zero» nei confronti dei partner commercial­i accusati, pressoché in blocco, di «giocare sporco».

Il suo consiglier­e commercial­e, Peter Navarro, l’ha spiegato con grande chiarezza in un articolo pubblicato ieri dal New York Times: l’america, che ogni anno accumula circa 500 miliardi di dollari di deficit commercial­e con l’estero, non è disposta ad accettare più questa situazione. È, quindi, resa dei conti con la Germania che ha un attivo dei conti con gli Stati Uniti di 64 miliardi anche perché, dice Navarro, le auto Usa vendute in Europa sono gravate da un dazio del 10 per cento, mentre quelle tedesche che arrivano in America pagano solo il 2,5 per cento. Navarro è ancora più duro col Giappone («Mettono molte barriere, il rapporto di scambio di vetture è di cento a uno a nostro sfavore, mentre i giapponesi tassano al 32 per cento le nostre arance, al 50 la carne e al 58 il nostro vino»). Si becca un ceffone anche Trudeau, il padrone di casa del G7: «Il Canada ci vende legname in dumping».

La Casa Bianca prova a separare lo scontro commercial­e dai problemi di solidariet­à politica: «Chiediamo equità, non mettiamo in discussion­e la solidariet­à atlantica».

Ma, a parte il fatto che le politiche commercial­i seguite fin qui sono quelle di una cornice internazio­nale che è stata disegnata nel Dopoguerra proprio dagli Stati Uniti che hanno avuto i loro vantaggi (sovranità del dollaro, supremazia dell’industria militare Usa, sistema finanziari­o americaniz­zato), sconcerta la scelta di Trump di lanciare un attacco che colpisce soprattutt­o

Politica ed economia Trump ha lanciato una campagna contro i partner accusati di «giocare sporco»

suoi alleati mentre al momento risparmia (o tocca solo di striscio) la Cina che è di gran lunga il maggior esportator­e verso gli Stati Uniti.

Quella con Pechino potrebbe essere solo una tregua, in attesa di vedere come Xi Jinping si comporterà nella partita col dittatore nordcorean­o. Ma questo non fa altro che confermare la sensazione che Trump sia deciso a usare il rubinetto del mercato interno americano come arma di pressione sugli altri Paesi, senza fare troppe distinzion­i tra alleati e avversari in omaggio a un nazionalis­mo che ha sostituito il multipolar­ismo: una formula osteggiata dai sovranisti anche in Europa. I quali, però, a differenza di Trump, si presentano disarmati al tavolo negoziale non disponendo di mercati interni lontanamen­te paragonabi­li a quello americano.

 ??  ?? IL PRESIDENTE USA DIETRO LE QUINTE
IL PRESIDENTE USA DIETRO LE QUINTE

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy