Ombre di default sull’argentina che torna «in terapia» dal Fmi
Accordo con il Fondo monetario per un prestito da 50 miliardi di dollari
L’argentina chiude un accordo con il Fondo monetario, tornando a ricevere aiuti a 15 anni dal suo storico default. Ma le ombre del passato, in questi giorni di forti turbolenze sui mercati finanziari, impediscono per ora che torni la calma a Buenos Aires e dintorni.
Soffre ancora il peso argentino che continua a perdere valore, e preoccupa gli osservatori anche il Brasile, con il real a nuovi minimi contro il dollaro e la banca centrale costretta a forti acquisti di sostegno. Il timore è che dopo Turchia e Argentina la speculazione possa attaccare anche la maggior economia latinoamericana.
Il presidente argentino Mauricio Macri vola al G7 in Canada per ribadire gli impegni presi dal suo governo al momento di firmare con l’fmi. Il prestito è di notevoli dimensioni, 50 miliardi di dollari per tre anni, così come gli aggiustamenti all’economia nazionale che Macri ha promesso di mettere in atto. Prima di tutto sull’inflazione, una piaga del 25 per cento all’anno in Argentina. Dovrà scendere in tre tappe fino al 9 per cento all’anno nel 2021, ha spiegato il ministro delle Finanze Nicolas Dujovne. Ma preoccupa ancor di più l’impegno di ridurre il deficit di bilancio, con una dura meta dell’1,3 per cento del Pil il prossimo anno e l’azzeramento nel 2020.
Il prestito è il classico «stand by» per i Paesi in difficoltà. L’argentina avrà accesso subito a 15 miliardi di dollari, e il restante sarà a disposizione se ce ne sarà bisogno. La numero uno del Fondo, Christine Lagarde, ha detto di appoggiare «energicamente» le riforme in atto volute da Macri. Come a prevenire le consuete accuse, l’fmi assicura che le mete sono state ideate dal governo argentino e Macri si è impegnato a mantenere inalterate nel triennio le spese per l’assistenza sociale.
Obiettivo di Macri e della Lagarde è evitare la tragedia del 2001-2002, quando le misure di austerità concordate con l’fmi finirono per strozzare l’economia argentina, già in forte recessione, provocando la peggior crisi della sua storia. All’epoca i tagli si abbatterono su una popolazione stremata dalla disoccupazione e dal crollo del valore del peso. Questa volta l’impegno è non toccare la spesa sociale per tutta la durata del prestito, e se le condizioni dell’economia dovessero peggiorare, dice Lagarde, «ci saranno dispositivi per aumentare le risorse destinate alle priorità sociali».
La differenza con la crisi precedente, comunque, è che l’economia argentina è oggi ancora in fase di crescita (il 2,9% nel 2017, circa il 2 quest’anno), mentre la crisi ha colpito soprattutto il peso, con una svalutazione rispetto al dollaro del 25 per cento dall’inizio dell’anno. A nulla sono servite le misure precedenti alla richiesta di aiuto al Fmi, come l’utilizzo delle riserve valutarie o una stretta dei tassi addirittura fino al 30 per cento.
L’opposizione a Macri, a partire dal kirchnerismo, grida al complotto della finanza internazionale, prevedendo tempi duri. «Gli obiettivi dell’accordo provocheranno migliaia di licenziamenti, meno spese per la sanità e la scuola, verranno colpite le pensioni e i lavoratori. In pratica sarà una raffica di misure contro il popolo argentino», ha dichiarato il deputato di sinistra Nicolas del Cano. Condizioni
● Buenos Aires ha concluso con il Fondo monetario internazionale l’accordo per un prestito di 50 miliardi di dollari in tre anni
● L’argentina avrà accesso subito a 15 miliardi di dollari, il restante sarà a disposizione se ce ne sarà bisogno
● Per scongiurare la crisi che le misure di austerità concordate con l’fmi provocarono nel 20002001, il patto con l’organizzazione è di evitare tagli alla spesa sociale verso la Libia», si legge nella risoluzione Onu.
Ma ancora più noti i quattro libici. Ahmed Dabbashi da quattro o cinque anni comanda una delle più importanti bande criminali nelle regioni occidentali della Tripolitania. Tra le sue numerose attività si annovera anche il contrabbando di petrolio verso la Tunisia e l’italia. Dalla seconda metà dello scorso settembre, due mesi dopo gli accordi con Roma, la sua posizione si è indebolita nel suo feudo di Sabratha. A Tripoli si dice sia stato anche ferito nel corso di gravi scontri con altre milizie per il controllo del flusso di migranti da sud. Un fratello e un cugino furono fermati all’aeroporto di Tripoli mentre cercavano di fuggire con un volo per Istanbul. Il clan Dabbashi si è ora riposizionato a Zawiya, una ventina di chilometri a est di Tripoli, dove ha ripreso le sue attività a sta cercando di riconquistare la piazza di Sabratha. Ma la lotta tra milizie è continua, serrata. A Zawiya operano altri due personaggi che appaiono sulla lista Onu. Il primo è Mohammad Keshlav, soprannominato «Qasab», cannone. Il suo compito sarebbe vigilare sulla raffineria locale, tanto che si presenta come dipendente del governo del premier Fayez Sarraj a Tripoli. In realtà, figura come uno dei maggiori spacciatori di quello stesso greggio su cui dovrebbe fare la guardia e soprattutto spicca per il suo ruolo nel traffico di migranti verso l’italia. Ha un rapporto difficile con Abdulrahman al Milad, a sua volta responsabile dei «guardiacoste» di Zawiya, i quali cercano di imporre con la forza il loro monopolio sul mare.
La promessa
Il presidente Macri si è impegnato a mantenere le spese per l’assistenza sociale