L’ affare della cyber-sicurezza Nel mondo investiti 170 miliardi
E la francese Thales mette a Firenze il controllo degli aeroporti
VILÉZY Non arrivano a 60 anni in due. Normale: di professione fanno gli hacker, e quella è più o meno l’età dei migliori corsari informatici in circolazione. Corsari per modo di dire, nel loro caso: Joan Mazenc e Thierno Barry sono in realtà «pirati etici». Nella cyberguerra che noi non vediamo, ma che si combatte ogni giorno e riguarda tutti noi da vicino, sono schierati con l’esercito dei buoni. Cercano le falle del sistema — meglio: dei sistemi — e attorno ci costruiscono i fortini di difesa dagli attacchi dei cattivi.
Terroristi, mafie, ladri di dati, criminali vari: c’è di tutto. In pochissimi minuti, Joan e Thierno dimostrano con quale facilità quelle truppe possano entrare nei nostri cellulari, nei nostri tablet, nei nostri pc. Senza che noi ce ne accorgiamo. E mettendo a rischio, oltre che la nostra privacy e le nostre carte di credito, tutti i sistemi con i quali siamo collegati: non è complicato, per gli stregoni neri del web, fare del singolo profilo la porta d’accesso alla rete di un’azienda, o di un aeroporto, o di un esercito vero.
Sono soltanto alcuni degli esempi possibili. Nella sede di Vilézy, tra Parigi e Versailles, le squadre della multinazionale francese Thales passano in rassegna praticamente l’intera gamma. Patrice Caine, il numero uno del gruppo (tra i leader mondiali nelle tecnologie di sicurezza in ogni settore chiave: tra i suoi clienti ci sono governi, la Nato, le maggiori reti infrastrutturali private e pubbliche di una cinquantina di Paesi), ha deciso di dedicare il primo Media Day alla cybersecurity, e di farlo non a colpi di teoria ma attraverso dimostrazioni pratiche. Per una serie di buone ragioni.
La prima è che, forse per paura di alimentare allarmismi, se ne parla poco. E’ un errore: nell’era in cui tutto è o sarà presto connesso, in cui i treni e le metropolitane e le auto si guidano (o si guideranno) da soli dentro e tra una «città intelligente» e l’altra, nell’epoca dei droni che atterrano con i loro pacchi sulle nostre porta di casa e delle «nuvole» che immagazzinano tutti i nostri dati, come ripete Caine «la cybersicurezza non è un optional, è una condizione sine qua non: la rivoluzione digitale ci permetterà cose fantastiche, ma non sarà un mondo migliore se non sarà un mondo Patrice Caine, 48 anni, dal dicembre 2014 numero uno del gruppo francese Thales, tra i leader mondiali dei sistemi di sicurezza in ogni settore chiave sicuro».
C’è chi stima — i dati sono di Leonardo, l’ex Finmeccanica, in Italia partner di Thales attraverso joint venture nel settore spaziale — che per arrivarci si siano investiti 120 miliardi nel 2017 e che la spesa sia destinata a salire a quota 180 entro il 2021. Sembra una cifra enorme. Non lo è ancora, se si considera che si riferisce al mercato globale e che fotografa probabilmente tutto (compresi i più comuni sistemi antivirus). Quel mercato è però certamente uno di quelli a maggior tasso di crescita, anche e in particolar modo ai livelli più sofisticati, ed è dunque ovvio che sia la “nuova frontiera” dei numeri uno. Thales, per dire, ha un fatturato complessivo di 15,8 miliardi (dati 2017) cui i ricavi strettamente legati alla cybersecurity contribuiscono oggi per soli 500 milioni. Lì, però, Caine ha messo al lavoro sette squadre “dedicate”, 10 mila sviluppatori di software e 5 mila cyber-ingegneri (sui 65 mila dipendenti che il gruppo ha in 56 Paesi), e il risultato è che I numeri
● Thales ha un fatturato complessivo di 15,8 miliardi (dati 2017), di cui i ricavi strettamente legati alla cybersecurity contribuiscono oggi per soli 500 milioni
● Ma la quota è destinata a crescere. Thales ha 7 squadre “dedicate”, 10 mila sviluppatori di software e 5 mila cyberingegneri su 65 mila dipendenti dalla crescita del 10% prevista per quest’anno “pensiamo di poter arrivare e superare presto il miliardo di euro, sui venti di ricavi totali cui puntiamo”.
Thales Italia ha un ruolo centrale, nella geografia della multinazionale francese. E’ a Firenze, per esempio, il cuore delle competenze per le soluzioni di sicurezza dei sistemi aeroportuali mondiali. Non tanto, o non solo, quelli che sperimentiamo di persona al check-in, poi ai varchi di controllo, infine all’imbarco. Il team di Marco Scarpa, qui a Vélizy, mostra quello che noi passeggeri non vediamo. La simulazione di un attacco hacker alla rete informatica, qualunque sia la finalità (anche solo chiedere un “riscatto”, come hanno fatto con un’infinità di strutture pubbliche i pirati di “Wannacry”: “Voglio piangere”, non a caso), non è un bello spettacolo. Può paralizzare l’intero aeroporto. La buona notizia è che i fortini di prevenzione e difesa funzionano. Quando ci sono.