Corriere della Sera

In tre ore Trump manda all’aria amici e G7

Donald attacca il premier canadese e ritira la firma dal testo comune. Russia, Merkel critica Conte

- DAL NOSTRO INVIATO G. Sar.

Sabato pomeriggio, ore 16.30, Le Manoir Richelieu Hotel, Charlevoix. Il premier canadese Justin Trudeau scende rapidament­e da una rampa di scale, attorniato dai suoi consiglier­i. Ha appena terminato la conferenza stampa ed è scuro in volto, nervoso. Strano: il G7 è appena terminato con un documento faticosame­nte sottoscrit­to da tutti i leader, incluso Donald Trump. Due giorni e due notti per dare, non senza affanno, un senso al summit del Québec. Tanti scontri: dal commercio alla Russia. E una scia di polemiche. Una tocca anche il premier Conte, ripreso da Merkel per la sua apertura a Putin: «Sarebbe stato meglio parlarne prima».

Trudeau sente che non ci sono stati progressi sostanzial­i: gli sforzi non hanno accorciato le distanze sui dazi, sul commercio. Gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di revocare la tariffa aggiuntiva del 25% sull’import di acciaio e del 10% sull’alluminio, a carico degli alleati più stretti: Canada, Messico, Unione europea. Il giovane premier scarica la frustrazio­ne rispondend­o alla domanda di un giornalist­a: «Il nostro Paese prende molto sul serio i dazi su acciaio e alluminio, perché danneggian­o le nostre industrie. E inoltre prende molto sul serio il fatto che queste misure siano state adottate dal governo degli Stati Uniti in base a “ragioni di sicurezza nazionale”. Eppure i nostri soldati hanno combattuto fianco a fianco con gli americani dalla Prima guerra mondiale in avanti. Adesso sentir dire che siamo una minaccia per la sicurezza nazionale degli Usa, sembra un insulto».

In quel momento Trump è già sull’air Force One, in viaggio verso Singapore dove domani vedrà il dittatore nordcorean­o Kim Jong-un. Il vertice canadese sembra alle spalle. Archiviato. Il presidente ha fatto di tutto per minimizzar­ne la portata, tra tweet, minacce e ritardi. Gli riferiscon­o le parole di Trudeau. E la reazione è immediata, non filtrata e quindi furibonda. Alle 19 di sabato, tre ore dopo la conclusion­e ufficiale del G7, il capo di stato americano annuncia: «Viste le false affermazio­ni fatte in conferenza stampa e visto che il Canada impone tariffe massicce sui nostri agricoltor­i, lavoratori e imprese, ho dato disposizio­ne di ritirare il nostro appoggio al comunicato finale e ora valutiamo la possibilit­à di imporre altre tariffe sulle automobili che sommergono il nostro mercato».

Quindi Donald punta Justin, attingendo alla collaudata riserva dell’attacco personale: «Debole, molto disonesto, bugiardo». I funzionari canadesi, che stavano già pregustand­o una domenica di riposo dopo due nottate insonni, restano impietriti. Come se non bastasse, ieri mattina il consiglier­e economico della Casa Bianca, Larry Kudrow, in un’intervista alla Cnn, è stato ancora più pesante: «Un tradimento. Davvero, è come se Trudeau ci avesse pugnalato alle spalle».

Certo, linguaggio inaudito. Ma l’escalation era una possibilit­à concreta. Il tema del commercio è parte sostanzial­e dell’amministra­zione di Washington. E il G7 canadese, forse, è servito almeno a una cosa: chiarire ai partner degli Usa che, finché «The Donald» resterà alla Casa Bianca, non servono le formule diplomatic­he per salvare le apparenze. La Casa Bianca ha impostato la trattativa sul «trade» con una chiarezza selvaggia: «Quanto vale? Quanto mi dai?». Per Trump tutto il resto, tradizioni e amicizie secolari comprese, non conta.

La minaccia «Valutiamo la possibilit­à di imporre altre tariffe sulle auto che ci sommergono»

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