EUROPA E IMMIGRAZIONE, COSTRUIRE LE NUOVE REGOLE
Confronto Sulla riforma del regolamento di Dublino l’italia dovrà abilmente muoversi con i partner per non rischiare di trovarsi alla fine con un nulla di fatto in mano
P roprio in queste settimane si sta giocando, ai tavoli europei, una partita decisiva per il nostro Paese che riguarda la riforma del c.d. «Dublino III», ovvero il Regolamento della Ue entrato in vigore il 1 gennaio 2014. Esso definisce i criteri per individuare quale sia lo Stato membro a doversi fare carico della richiesta di asilo di una persona giunta sul territorio europeo da un Paese terzo. Tra i criteri vi è quello dell’unità familiare (ricongiungimento al coniuge, genitori, o figli minori), o il fatto che un Paese abbia già rilasciato un permesso di soggiorno. Si aggiunge ad essi anche quello che individua la competenza dello Stato sulla base del primo ingresso irregolare dello straniero: criterio divenuto, ormai, prevalente.
Gli effetti prodotti sono noti. In una situazione emergenziale di sbarchi, come quella vissuta in questi anni, il problema si è scaricato, prevalentemente, sui Paesi di primo approdo, in particolare Italia e Grecia. È in questi Paesi, infatti, che si sono venute a concentrare una gran parte delle domande dei richiedenti protezione internazionale. Non solo. Il meccanismo Dublino ha determinato effetti perversi. Ed infatti è il Paese che istruisce la domanda di protezione a doversi fare carico del richiedente, per la durata del procedimento, contenzioso incluso, e per la sua permanenza successiva. Il sistema complessivo comporta tempi biblici per la valutazione delle domande tantoché, sovente, i migranti scelgono vie di fughe clandestine, dagli esiti anche tragici, per raggiungere i Paesi di destinazione. Ed è, complessivamente, inefficiente.
Inequivocabili sono i dati sulle effettive riconsegne tra Stati membri dei richiedenti asilo e dei beneficiari di protezione internazionale: solo l’8%. Vi è poi l’irreperibilità dei richiedenti asilo dopo la notifica della decisione di trasferimento
Differenze Sul tema dei ricollocamenti obbligatori gli interessi dei Paesi di Visegrád, sono antitetici ai nostri
e le difficoltà nella cooperazione tra amministrazioni. Senza contare che delle migliaia di domande che pervengono ogni anno solo una parte ha i presupposti in regola. Ad oggi circa 600.000 sono, ad esempio, gli irregolari nel nostro Paese. Insomma un sistema che sembra non avere mai funzionato, neppure nei periodi di relativa calma (come segnala C. Favilli, 2018). Tale lentezza ha, poi, ulteriori conseguenze: impatta sulla gestione dei centri di accoglienza, favorisce fenomeni di illegalità e di sfruttamento di manodopera, ha nepresentata gativi effetti sociali.
Da mesi è in discussione il c.d. «Dublino IV». C’è una risoluzione del Parlamento europeo, votata nel novembre del 2017, che, pur migliorabile, rappresenta una interessante base di partenza per la discussione. Essa introduce un meccanismo di ripartizione fisso (le «quote») dei richiedenti asilo in tutti i Paesi Ue, elaborato sulla base di dati oggettivi (popolazione e Pil) e prevede il superamento del criterio in base al quale la competenza all’esame delle domande di asilo si radica in capo al Paese di primo ingresso.
La solidarietà deve diventare un progetto concreto di azione dell’ue, altrimenti sarà inevitabile il fallimento
Si da poi rilevanza alla presenza di ulteriori vincoli familiari (ad esempio il ricongiungimento con fratelli e sorelle), o a quella di un «legame» significativo che il richiedente protezione può vantare con un determinato Stato (ad esempio conoscerne la lingua).
Ma la discussione è tutta in salita. Nel vertice europeo di qualche giorno fa l’accordo è saltato, anche per volontà del Ministro dell’interno Salvini. E questo è certamente un bene. Sul tavolo non c’era, infatti, la risoluzione del Parlamento europeo ma una bozza dalla Bulgaria, decisamente peggiorativa, quantomeno per gli interessi italiani: essa, infatti, contemplava di mantenere fermo il criterio della competenza del primo Paese di ingresso, ammettendosi ipotesi di ricollocamento obbligatorio solo a fronte di situazioni di conclamata emergenza (superamento della soglia del 160 per cento e, comunque, sempre passando dal voto del Consiglio).
Adesso il tutto è rinviato a fine giugno. E il nostro Paese dovrà abilmente muoversi con i partner europei per non rischiare di trovarsi alla fine con un nulla di fatto in mano. Sul tema dei ricollocamenti obbligatori, infatti, gli interessi dei c.d. Paesi di Visegrád, sono antitetici ai nostri. Ma la partita «Dublino» sarà anche la sede per testare se ha ancora un senso la parola «solidarietà». L’art. 67, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento della Unione Europea la richiama proprio nel riparto degli oneri della gestione delle politiche comuni dell’asilo. Ma fino ad ora di solidarietà tra Stati membri ce n’è stata ben poca. Come dimenticare, in proposito, la chiusura dei porti da parte di Francia e Spagna la scorsa estate nel silenzio delle istituzioni europee? Il tempo, adesso, è scaduto. Non servono altre parole di circostanza o retoriche europeiste di maniera. O la solidarietà, in punto di immigrazione, diventa un progetto concreto di azione della Unione Europea o è il progetto stesso di integrazione europea ad essere destinato ad un inevitabile fallimento.