Corriere della Sera

Con l’incontro tra Trump e Kim finisce la guerra?

Pochi ci avevano creduto, il giorno del vertice è arrivato. Speranze Usa

- di Guido Santevecch­i

Il vertice di Singapore tra Kim e Trump apre una nuova pagina: in attesa della denucleari­zzazione i due leader potrebbero impegnarsi ad annunciare la fine della Guerra di Corea. Sarebbe Storia, perché chiuderebb­e un conflitto scoppiato nel 1950.

SINGAPORE Donald Trump si autodefini­sce «l’artista dell’accordo» e assicura di essere in grado di valutare «in un minuto se Kim Jong-un è sincero». Anche superata la prova dei sessanta secondi ai due resta comunque il problema di presentare al mondo un risultato d’impatto. In attesa della denucleari­zzazione, potrebbero intanto impegnarsi ad annunciare la fine della Guerra di Corea.

Sarebbe Storia, perché chiuderebb­e un conflitto scoppiato il 25 giugno del 1950 con l’invasione nordcorean­a del Sud e fermo su una «tregua provvisori­a». Il fronte dei critici di Trump sostiene che il presidente è arrivato impreparat­o a questo vertice, i giuristi spiegano che per fare un trattato di pace bisogna risolvere delicate questioni tecniche e sono necessarie tutte le parti in causa, quindi anche Cina e Sud Corea. Trump risponde: «Potrà sembrare strano, ma fare un accordo di pace è probabilme­nte la cosa più semplice». Forse il presidente affarista non ha fatto benissimo i compiti a casa, ma la crisi coreana è stata storicamen­te creata da errori e superficia­lità di personaggi molto rispettati dell’establishm­ent politico americano e da decisioni apparentem­ente assurde di sovietici e cinesi.

La linea del 38° Parallelo fu tracciata un giorno di fine 1945 da un giovane ufficiale americano, arrivato a Seul dopo la resa del Giappone che aveva dominato la Corea dal 1910. Bisognava decidere dove fermare la penetrazio­ne sovietica, come in Germania, e il colonnello Dean Rusk trovò un numero del National Geographic con una bella mappa della penisola e ci tracciò sopra una riga lungo il 38° Parallelo, spaccando il Paese in due. Doveva essere una soluzione provvisori­a, Mosca accettò senza obiezioni e instaurò nel suo settore un regime stalinista guidato da Kim Ilsung. In seguito Dean Rusk diventò Segretario di Stato.

Nel giugno 1950 Kim Ilsung cercò la riunificaz­ione lanciando il suo esercito all’attacco. Qui il passo falso fu di Dean Acheson, Segretario di Stato di Truman, che nel gennaio precedente, in un discorso strategico si dimenticò di includere la Sud Corea nel «perimetro difensivo americano nel Pacifico». Kim (nonno di Kim Jong-un) lo avrebbe preso come il via libera all’avventura. Fu Stalin a dare l’assenso all’invasione, per molte ragioni contorte. E Mao rimase intrappola­to, infilando la sua armata di finti volontari nella guerra che durò tre anni.

C’è nel mezzo il caso del voto in Consiglio di Sicurezza sull’invio dei caschi blu Onu a difendere la Sud Corea: il 7 luglio 1950 era assente l’ambasciato­re sovietico, che ufficialme­nte boicottava le sedute per protesta contro la mancata inclusione della Cina comunista tra i 5 Grandi. Niente veto di Mosca, un’altra mossa inspiegabi­le, e grande coalizione militare guidata dall’america.

Quella di Corea in America è definita dagli storici «La Guerra dimenticat­a», schiacciat­a tra la gloria della Seconda guerra mondiale e la crisi morale del Vietnam. Ma tutti i nordcorean­i la ricordano benissimo: i giovani perché fa parte dell’indottrina­mento di regime. Tra l’altro a scuola a Pyongyang insegnano che «furono gli imperialis­ti americani e i loro lacchè sudisti ad

Denucleari­zzazione Resta comunque il problema di presentare al mondo un risultato d’impatto: sul nucleare

aggredirci vilmente alle 4 del mattino di domenica 25 giugno 1950»; i più anziani perché hanno sofferto la ferocia della lotta fratricida.

Durante la guerra gli americani sganciaron­o sulla Nord Corea 635.000 tonnellate di bombe, più altre 32.557 di napalm. Nella primavera 1953 i comandi della US Air Force segnalaron­o che non si trovavano più obiettivi «utili» al Nord: «Non c’è più una pietra sull’altra nelle città». Tre milioni di soldati e civili morti alla fine, un decimo della popolazion­e dell’intera penisola coreana. Durante un viaggio a Pyongyang ho chiesto a una vecchia nordcorean­a che cosa è stata la guerra: «Non trovo le parole. Non so dirvi com’erano quei suoni di bombe che distruggev­ano le case, uccidevano. Per me il rumore della guerra è quello delle nostre ciabatte che strisciava­no nel buio mentre fuggivamo dagli aerei». Ecco un motivo di rancore da non sottovalut­are.

La Dinastia Kim per 65 anni si è retta sul consenso popolare forgiato nell’odio per gli americani e la sindrome da assedio. Per questo, se Donald Trump e Kim dichiarera­nno che la Guerra è finita, molto dovrebbe davvero cambiare al Nord, anche psicologic­amente. Quando si arrivò al cessate il fuoco, il 27 luglio 1953, la situazione doveva essere «provvisori­a», come le baracche di Panmunjom. Ora nel Villaggio della Tregua ci sono palazzi di cemento da dove i nemici si scrutano con i binocoli.

Tutto questo potrebbe finire, come il Muro di Berlino. E anche allora erano in pochi a credere che sarebbe caduto.

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