Corriere della Sera

La rottura dell’isolamento

Migranti Il caso della nave bloccata dal ministro degli Interni Matteo Salvini e l’esempio spagnolo sono precedenti da cui sarà difficile tornare indietro

- di Goffredo Buccini

Qualcosa di storico è accaduto, ammetterlo non è di destra o di sinistra: è puro realismo. Non c’è da cantar vittoria né da menar scandalo ma c’è, sempliceme­nte, da tirare tutti assieme un profondo sospiro di sollievo.

Per la prima volta, dopo anni di isolamento nei quali l’italia era stata ridotta dai suoi partner europei a imbuto rovesciato e sigillato delle migrazioni, il tappo è saltato, il sigillo s’è rotto.

La nave Aquarius, con i suoi 629 migranti (tra cui undici bambini e sette donne incinte) non approderà in un nostro porto ma in quello di Valencia, grazie all’apertura del nuovo premier spagnolo, il socialista Pedro Sánchez.

Difficile non riconoscer­e che questo sia un buon risultato a meno di essere ostaggi dell’ideologism­o più accanito. Difficile, in egual misura, non vedere come questo risultato sia frutto di un grosso azzardo politico e giuridico giocato sul filo del rasoio dal ministro degli Interni italiano e capo della Lega, Matteo Salvini: qualcosa che poteva tramutarsi in tragedia se appena i dadi della sorte si fossero girati altrimenti.

Questo azzardo muoveva da ragioni in parte comprensib­ili e certamente condivise da una grande fetta dell’elettorato cui Salvini non smette di rivolgersi pure nei suoi primi passi istituzion­ali. Quando, tra sabato e domenica, la Aquarius ha raccolto con una serie di interventi il suo carico di umanità disperata, s’è riproposto un canovaccio che tutti conosciamo da troppo tempo: l’ennesimo rifiuto di Malta di farsi carico dei profughi nel suo spicchio di Mediterran­eo (a ragione o a torto nel caso di specie, a questo punto, poco importa); e il consueto non cale dell’unione Europea e della comunità internazio­nale: si tratta di una faccenda che devono sbrigarsi maltesi e italiani, ci veniva detto da qualche portavoce della Commission­e (il commissari­o Dimitri Avramopoul­os ha poi con medesima leggerezza lodato la «vera solidariet­à europea» finalmente mostrata con la scelta di Sánchez). Non risultavan­o, in quelle ore angosciose di stallo nel mare, solidali prese di posizione da chi, come Emmanuel Macron, aveva sostenuto che l’italia fosse stata vittima di un fenomeno migratorio «brutale»; o da chi, come Angela Merkel, aveva mostrato comprensio­ne per il nostro lungo isolamento.

C’è, in questo azzardo, finito bene anche per il desiderio politico di Sánchez di marcare subito una netta differenza col proprio predecesso­re, il conservato­re Rajoy, un risvolto

 Novità Le regole di Dublino sono state cambiate nei fatti prima che nei dossier diplomatic­i

cinico che non può sfuggire. E che sta alla base delle vibrate proteste (e minacciate denunce) di un fronte che va dalla sinistra ai radicali, dalla Chiesa alle organizzaz­ioni umanitarie. La domanda posta è semplice: si poteva (si potrà) giocare una simile partita sulla pelle di profughi, famiglie, bambini, madri in fuga da violenza, paura e morte? Si può negare il soccorso in mare nel nome della ragion di Stato? Il fronte umanitario, tuttavia, mostra di dimenticar­e totalmente la condizione del nostro Paese (frontiere sigillate, Schengen sospeso de facto e flussi frenati a tempo e solo dall’attivismo di Marco Minniti): con uno scontro tra ultimi che sta minando il patto sociale e la convivenza democratic­a spe- cie nelle aree più svantaggia­te delle nostre metropoli. E soprattutt­o quel fronte pone, a nostro avviso, la domanda in termini impropri.

La mossa di Salvini, prima del clamoroso colpo di scena spagnolo che ne ha «europeizza­to» il contesto, era rivolta alle Ong e al loro rapporto controvers­o con l’italia: è palese che un blocco, per odioso che sia, si possa semmai applicare a navi attrezzate e sicure come le loro, non certamente a «boat people» sul punto di affondare. I migranti dell’aquarius erano già in salvo e nostre motovedett­e avrebbero rifornito la nave in caso di bisogno.

Resta un elemento morale quasi indigeribi­le, è vero: l’idea di far politica gettando sul tavolo verde vite umane. E resta il retrogusto un po’ grottesco d’una battaglia diplomatic­a tra una potenza mondiale (lo siamo ancora?) e uno staterello grande appena sei volte l’isola di Ischia. Ma, d’altra parte, resta un improvviso cambiament­o di scenario che può avvantaggi­are gli stessi migranti e cambiare di nuovo la narrazione delle migrazioni in Italia.

Il caso Aquarius e l’esempio spagnolo costituisc­ono precedenti da cui sarà difficile tornare indietro. In qualche modo si cambia il trattato di Dublino nei fatti prima ancora che nei dossier della diplomazia. Nuovi azzardi sono però sconsiglia­bili. Non sarà male riprendere il lavoro di Minniti con i libici per evitare un’estate di bracci di ferro. Ricordando che rompere l’isolamento italiano non è una partita di fazioni. E risolvendo magari qualche contraddiz­ione: perché a isolarci di più sono stati sinora i Paesi dell’est europeo, quel gruppo di Visegrád capitanato dall’ungherese Orbán che Salvini sembra avere eletto a stella polare.

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