Corriere della Sera

La vita sospesa dei 629 in alto mare Salta lo sbarco delle donne incinte

Giornata di paura e preghiere: «Perché non ripartiamo?». Uno minaccia di buttarsi

- Giusi Fasano

Mai il tempo era sembrato così lento, sulla nave Aquarius. Eppure sulla terraferma è un susseguirs­i concitato di decisioni, comunicazi­oni, trattative sulla sorte del suo carico umano: 629 disperati, di 26 diverse nazionalit­à, passano le ore per lo più seduti all’ombra, ad aspettare che qualcuno li aggiorni sulle ultime comunicazi­oni radio con Roma, oppure stretti di notte nelle loro coperte l’uno accanto all’altro. Le loro vite sospese, ferme come la nave. In mezzo al mare.

Ci sono sei donne incinte, fra loro. Tre sono state imbarcate assieme ai mariti, le altre sembrerebb­ero sole, tutte fra i venti e i ventitré anni, di nazionalit­à non comunicata. Dopo la notizia del cambio di rotta verso la Spagna, nel primo pomeriggio di ieri è cominciata una lunga, estenuante trattativa, chiamiamol­a così, per capire se per loro sei sarebbe stato necessario il trasferime­nto verso il porto più vicino, Pozzallo.

La Capitaneri­a di porto e i medici della Sanità marittima erano pronti e disponibil­i per il trasbordo su una motovedett­a della Guardia costiera ma all’improvviso tutto si è bloccato. «Volevano scendere con i loro mariti ma agli uomini hanno negato il permesso di sbarcare», si sono detti gli operatori comunicand­o fra loro. Nessuna conferma ufficiale ma di fatto sono passate molte ore in attesa di sciogliere il nodo sullo sbarco possibile di quelle sei donne. E alle otto di sera, a situazione ancora bloccata, dal comando di bordo dell’aquarius arriva un messaggio alla Guardia costiera: due delle sei donne incinte hanno bisogno di assistenza immediata, quindi dovrebbero scendere sulla terraferma ma chiedono garanzie precise: mediche e sulla propria sorte. Vogliono sapere dove finiranno, come saranno assistite. La questione si complica, a bordo sono tutti stremati e il buio arriva prima che si possa trovare una soluzione. «Per il momento l’idea del trasbordo delle donne è abbandonat­a» rivela chi era in allerta per accoglierl­e a Pozzallo. Tutto di nuovo immobile. Nel tardo pomeriggio era stato Alessandro Porro, di Sos Mediterran­ée, a bordo della nave, a far sapere di «non aver ancora avuto nessuna comunicazi­one ufficiale sul destino dei migranti» e a fare due conti sul tempo di navigazion­e verso Valencia: «Alla nostra velocità ci metteremo 3-4 giorni, ci troveremo in una situazione difficile».

Difficile. Con una quindicina di persone «gravemente ustionate e non dal sole», dicono le associazio­ni umanitarie in contatto con la nave. Con poco cibo a bordo fino a tarda sera, quando una motovedett­a ha raggiunto e rifornito la Aquarius, e con la preoccupaz­ione sempre più alta fra i migranti, disidratat­i e con addosso i segni delle torture subite nei campi libici. Prima che il governo spagnolo si facesse avanti, uno di loro — rivelano con un tweet gli operatori a bordo di Medici senza frontiere — ha minacciato di suicidarsi buttandosi in mare se avesse dovuto tornare in Libia.

Alle mille domande di quei 629 naufraghi (fra loro anche 123 minori non accompagna­ti e 11 bambini) l’equipaggio di Aquarius spesso non sa come rispondere. Perché non ripartiamo? Adesso cosa succederà? Dove ci porteranno? Potremo rimanere? Qualcuno a metà giornata apre una mappa e spiega in inglese, francese, arabo: «Noi siamo qui, questa è l’italia». Quell’italia sognata così a lungo è lì, a portata di mano eppure lontanissi­ma. La Spagna ancora di più. Ma mentre guardano la cartina loro non sanno dello stallo diplomatic­o. Pregano. Sanno soltanto di voler mettere i piedi per terra, dopo tanto mare. E di non voler tornare indietro, per nessuna ragione al mondo.

La trattativa

I soccorrito­ri: «Volevano scendere con i mariti ma non gli è stato permesso»

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