Corriere della Sera

Si muove Gentiloni «Il Pd non è morto ma deve cambiare»

Il bilancio e il possibile ruolo dell’ex premier Veltroni: Siena e Terni danno la misura

- di Maria Teresa Meli

ROMA I primi a stupirsi sono stati proprio loro: i dirigenti del Nazareno. Tant’è vero che Democratic­a, il quotidiano online del partito, ieri titolava: «Sorpresa, il Pd è in campo». E l’istituto Cattaneo conferma che i Dem in queste elezioni, tutto sommato, hanno tenuto.

Non c’è stato il crollo paventato. «Il partito c’è, è vivo e resiste, pur se fortemente provato», osserva Giachetti. Anche se ci sono sconfitte, a queste elezioni amministra­tive, che fanno più male di altre. Ammette Veltroni: «Vedere il Pd a Siena al 27 per cento o al 15 a Terni dà la misura del lavoro di ricostruzi­one che occorre compiere».

Nella cittadina umbra, poi, il Partito democratic­o non è andato nemmeno al ballottagg­io: una botta, visto che dal dopoguerra Terni, a parte una breve parentesi di qualche anno, è sempre stata governata dal centrosini­stra. Pesa la crisi della città, le incertezze sulle sorti delle acciaierie, e pesa il fatto che ormai l’umbria è da considerar­si a tutti gli effetti una ex regione rossa.

Ma, per dirla con Guerini, il Pd «non riparte comunque da zero». Riparte da Gentiloni. Potrebbe essere l’ex premier a guidare il partito alla ricerca di una riscossa. Con la sapiente regia di Veltroni e Prodi. Ed è stato proprio di Gentiloni (l’unico big a fare campagna elettorale su richiesta dei territori che preferivan­o non avere altri dirigenti nazionali) il primo commento di un dem sulle elezioni. Questo il suo tweet: «Il Pd deve cambiare da cima a fondo, ma la notizia della sua morte era fortemente esagerata», scrive ironico l’ex premier, parafrasan­do una celebre frase di Mark Twain che smentiva il proprio decesso.

Quindi Gentiloni aggiunge: «C’è bisogno di alternativ­a al governo a guida Salvini». L’ex premier potrebbe essere disposto a giocare in prima persona: «Bisogna rimettersi in campo», dice agli amici. Il fatto che in questa campagna elettorale Gentiloni sia andato in tutte le città in bilico, come e più di un segretario di partito, non è sfuggito a nessuno dei dirigenti del Pd.

La prossima tappa sarà quindi, ai primi di luglio, l’assemblea nazionale per convocare il congresso (che dovrebbe tenersi a novembre). Anche se c’è un secondo schema, caldeggiat­o da un pezzo dell’ala renziana, che prevede di spostare le primarie a dopo le Europee e di eleggere all’assemblea di luglio un segretario a tempo.

Se alla fine Gentiloni scendesse veramente in campo difficilme­nte Zingaretti correrebbe. Senza contare che la candidatur­a dell’ex premier sarebbe l’unica alla quale Renzi non potrebbe dire di no.

Dal risultato elettorale i dirigenti del Pd hanno tratto l’impression­e che comunque, a prescinder­e da chi guiderà il partito, occorrerà costruire una coalizione più larga. «Ci vuole un centrosini­stra aperto», dice il reggente Martina. «Ci vogliono alleanze nuove e larghe per aprire una fase nuova di rigenerazi­one sempre più aperta alle istanze che ci arrivano dai territori da parte dei cittadini, delle esperienze associativ­e e dei movimenti civici», spiega Zingaretti.

Guerini sottolinea: «Quando il Pd riesce a essere il perno e il baricentro di alleanze larghe, nel coinvolgim­ento dei cittadini più che nella somma di sigle, i risultati arrivano». E parole analoghe pronuncia Orlando. Sembrano dire tutti la stessa cosa. Ma non è così. Per esempio, mentre Guerini pensa che occorra parlare con tutta la società italiana che si sente alternativ­a ai populisti, Orlando guarda solo a sinistra e Martina ha una posizione mediana tra i due. Alla fine si troverà una sintesi, per quel «centrosini­stra della ricostruzi­one», come è stato ribattezza­to al Nazareno, che dovrebbe vedere la luce dopo queste Amministra­tive. Sembra ormai tramontata l’ipotesi di un «fronte repubblica­no» anche perché, come sottolinea Richetti, «si ripropone in molte città il tradiziona­le bipolarism­o centrodest­ra-centrosini­stra».

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