L’exploit di Brescia. «Qui siamo tornati tra il popolo»
La battuta del sindaco Del Bono: con il partito al 35% il segretario posso farlo io
BRESCIA Lo ammette: la frase pronunciata domenica notte quando anche i numeri lo consacravano rieletto al primo turno sindaco di Brescia con quasi il 54% dei consensi è e resta una battuta. «Con il Pd a Brescia al 35%, il segretario del partito posso farlo io», aveva scherzato Emilio Del Bono, figlio di un fornaio, laurea in giurisprudenza, 52 anni, in politica da quando ne aveva 26, parlamentare dal 1996 al 2008 passando dalla Dc al Pd sempre da protagonista. «Confermo, era una battuta, non sono interessato a uscire da Brescia» ha raccontato ieri nel suo studio di Palazzo della Loggia, la sede del Comune. Sa di essere una mosca bianca: con la sua affermazione personale il Pd è arrivato a livelli delle ultime Europee, 34,62% , tanto che gli amici gli dicono: «Ecco, dovremmo ripartire da uno come te». Ma lui si schermisce, anche se si gode i complimenti ricevuti da amici vecchi e nuovi come Paolo Gentiloni, Gianrico Carofiglio e Carlo Verdone, che pressa da tempo perché a Brescia ambienti un suo film.
«La mia ricetta ? Credo — spiega — nella democrazia che si fa incontrando persone in carne e ossa. E poi ci vuole umiltà: io sono uno scontroso, ma che si mette in ascolto». Il suo successo è stato pianificato su due fronti: «Innanzitutto ho voluto intercettare il voto grillino, che a Brescia è un voto ambientalista e aperto alla partecipazione. Ho occupato i loro spazi e conquistato molto del loro elettorato che prima era il nostro. Così come ho saputo parlare all’elettorato moderato, agli orfani di Forza Italia, schiacciata da Salvini, a coloro che non si identificano con il linguaggio leghista. Questo mi pare che il Pd nazionale non l’abbia ancora capito». Brescia negli anni passati è stata spesso un laboratori (qui si sono sperimentate le prime alleanze dell’ulivo). torna a fare scuola? «Non so, non ho nulla da insegnare — conclude il sindaco —. Qui abbiamo saputo riconquistare i ceti popolari e se non è un modello esportabile, almeno è un metodo che va capito e messo a frutto».