Corriere della Sera

In Polonia l’iter infinito per (non) ridare i beni agli ebrei

- Di Maria Serena Natale msnatale@corriere.it

Ne discute dalla caduta del regime comunista nel 1989, ma finora la Polonia non ha sciolto il nodo delle restituzio­ni dei beni confiscati agli ebrei dai nazisti e poi nazionaliz­zati dai sovietici. L’ultimo disegno di legge, presentato dal governo nazional-conservato­re nell’ottobre 2017, oggi è congelato, nel clima di scontro sul passato che ha diviso il Paese e creato tensioni con alleati storici come gli Stati Uniti. Lo scorso marzo, 59 senatori americani hanno inviato al premier Mateusz Morawiecki una lettera di protesta per la bozza di legge che «colpirebbe le vittime dell’olocausto e i loro eredi». Già sotto osservazio­ne della Commission­e Ue per la riforma del sistema giudiziari­o, Varsavia è in attesa del parere della Corte Costituzio­nale su un’altra norma della discordia — la legge memoriale che prevede fino a tre anni di carcere per chiunque attribuisc­a alla nazione polacca responsabi­lità per i crimini del Terzo Reich. Il governo fedele al leader carismatic­o Jaroslaw Kaczynski ha quindi sospeso l’iter per l’approvazio­ne del testo sulle proprietà confiscate, che rischia di sollevare nuove accuse di revisionis­mo e accendere il pregiudizi­o antisemita. Il provvedime­nto, che colmerebbe un vuoto normativo unico nell’unione europea, punta ad accelerare le procedure ma stabilisce requisiti molto rigidi per poter accedere alle compensazi­oni. Nello specifico, occorre essere cittadini polacchi, diretti discendent­i delle famiglie espropriat­e — e anche dei proprietar­i originari dev’essere certificat­a la residenza nella Polonia pre-guerra. Le richieste dovranno essere presentate entro un anno dall’approvazio­ne della legge, le compensazi­oni copriranno il 20% del valore delle proprietà reclamate (costo stimato delle coperture, tre miliardi di euro). Con 3,5 milioni di persone, prima del secondo conflitto mondiale la comunità ebraica polacca era la più grande d’europa. Quasi nessuno dei 300 mila sopravviss­uti tornò nel Paese. Abolita in epoca comunista, la proprietà privata sarebbe riemersa con la transizion­e alla democrazia e al libero mercato. Nella nuova corsa alla ricchezza e in assenza di regole chiare, le restituzio­ni dei beni nazionaliz­zati non sono mai decollate. Oggi, per le famiglie, l’obbligo di recuperare prove di storie spezzate.

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