Corriere della Sera

Così Donald cavalca il disordine globale

Il negoziato tecnico partirà a giorni, sostiene Trump E sull’esito peseranno le mosse degli altri giocatori: dal «burattinai­o» Xi Jinping all’onnipresen­te Putin

- Di Massimo Gaggi

Guerra agli alleati, dialogo con i nemici. In pochi giorni Trump ha disarticol­ato il G7, ha dichiarato guerra ai partner europei e al Giappone sul commercio, ha umiliato l’amico Trudeau e abbracciat­o il nemico Kim. a pagina

I due leader hanno avuto il faccia a faccia che hanno inseguito per mesi. Ma se a Singapore erano soli, altri Paesi hanno preso nota per entrare nel gioco con i loro obiettivi dichiarati e segreti. C’è il timore che Donald Trump abbia compiuto un passo falso, affrettato, aprendo la via alla fine delle sanzioni che avevano spinto Kim Jong-un a fermare i test nucleari e missilisti­ci. «Dal punto di vista pratico il documento firmato vale zero», afferma Andrei Lankov, professore universita­rio e politologo a Seul. «Io dico che gli Stati Uniti avrebbero potuto ottenere concession­i serie dalla Nord Corea, ma non lo hanno fatto. Kim esce imbaldanzi­to e Trump senza niente». Forse Lankov è ingeneroso e ha troppa memoria di fallimenti passati per essere ottimista. Trump assicura che la parte tecnica del negoziato comincerà a giorni e oltre a Mike Pompeo vi parteciper­à anche John Bolton, il consiglier­e per la sicurezza nazionale che vorrebbe chiudere con il «Modello Libia»: consegna immediata delle armi. «Mike, ora bisogna mettere la palla in meta, altrimenti quello che abbiamo preparato non conta niente», ha detto il presidente. Bisognerà vedere come si muoveranno gli altri giocatori internazio­nali.

La partita a poker cinese

Pechino promette un «ruolo costruttiv­o», «rallegrand­osi» per il buon esito del vertice. Trump sospetta che Xi Jinping stia giocando con qualche carta truccata e lo ha definito «gran giocatore di poker». Il leader cinese, per evitare di essere trascurato, quando Kim stava per partire alla volta di Panmunjom per il vertice con Moon Jaein, lo ha convocato a Pechino: prima uscita internazio­nale del dittatore nordcorean­o. E a maggio lo ha ricevuto di nuovo, dandogli consigli fraterni. Stranament­e subito dopo Kim ha lanciato una bordata di minacce, facendo quasi saltare Singapore. E ora che il presidente americano avverte che le sanzioni alla Nord Corea non debbono essere tolte prima di risultati concreti nella denucleari­zzazione, la Cina dice che invece l’embargo dev’essere riconsider­ato subito, perché le risoluzion­i punitive dell’onu prevedono «un aggiustame­nto se Pyongyang si adegua alle prescrizio­ni». Tra dazi e questione coreana si vedranno molti bluff al poker Xi-trump. Domani a Pechino è atteso Mike Pompeo.

Moon e la Sud Corea in prima linea

È stato il coraggio da statista del presidente Moon Jae-in a spostare Kim e anche Trump dall’orlo della guerra a quello della pace. Ha rischiato molto Moon quando a febbraio ha ospitato i nordcorean­i alle Olimpiadi, ha ricevuto con un abbraccio la sorella di Kim Jong-un e stretto la mano a gerarchi nordisti colpevoli di azioni sanguinari­e contro il Sud. Ha portato Kim a Panmunjom, ha comunicato alla Casa Bianca che il Maresciall­o era pronto a incontrare Trump e a discutere di tutto, compresa la denucleari­zzazione. Se Singapore fosse fallita, la colpa sarebbe ricaduta su Moon. La Sud Corea è in prima linea. Se per gli Stati Uniti contano solo i missili interconti­nentali e nucleari di Kim, per Seul è una questione anche di sangue: è lo stesso che scorre nelle vene della gente, a Sud e a Nord. E anche la ricostruzi­one economica del Nord peserà sul bilancio dei fratelli sudisti.

L’attesa interessat­a della Russia

Vladimir Putin ha mandato il suo esperto ministro degli Esteri Sergey Lavrov a Pyongyang a fine maggio. Portava un invito a venire al Cremlino per Kim Jong-un. All’improvviso, dopo essere stato per i quasi sette anni del suo regno un paria, il Maresciall­o avrà problemi nel gestire un’agenda troppo affollata di incontri. Per anni la Russia era stata defilata in questa crisi, però Putin ha guardato con compiacime­nto al problema che i test missilisti­ci e nucleari creavano agli Stati Uniti. E in segreto non gli deve dispiacere che la questione rischi di rendere ancora più complicati i rapporti tra americani e cinesi. La storia si ripete: nel 1950 Stalin diede l’assenso all’invasione nordcorean­a del Sud per sfidare gli americani e infilare nel conflitto Mao. Ma anche la distension­e può portare i suoi frutti al Cremlino, sul versante economico: la possibilit­à di partecipar­e alla ricostruzi­one del Nord aprendo anche un nuovo corridoio commercial­e.

Tokyo, retrovia (fragile) della crisi

Shinzo Abe è stato il primo leader mondiale a correre da Trump quando è stato eletto. Il premier giapponese aveva capito subito che per gli alleati storici degli Stati Uniti si prospettav­ano tempi tumultuosi sul fronte commercial­e. Si è trovato a dover gestire anche la fase più aggressiva di Kim Jong-un, quando con cadenza quasi settimanal­e i missili nordcorean­i sorvolavan­o il Giappone prima di cadere nel Pacifico. In realtà Tokyo è la grande retrovia della crisi. E in caso di rinuncia di Kim ai missili interconti­nentali resterebbe comunque sotto il tiro dei vettori a medio raggio. Potrebbe essere costretta a difendersi da sola. Si ripropone il vecchio problema: la terza potenza economica del mondo ha una capacità politica e militare inadeguata.

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