Corriere della Sera

May doma la ribellione «anti Brexit»

Compromess­o per evitare il «veto» del Parlamento sull’accordo. Lascia il sottosegre­tario europeista

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Luigi Ippolito

LONDRA Theresa May ha domato all’ultimo minuto una ribellione parlamenta­re che avrebbe alterato drammatica­mente il corso della Brexit e messo a rischio la stessa tenuta del governo. La premier si è dovuta spendere personalme­nte per convincere una pattuglia di ribelli del suo partito a non votare a favore di un emendament­o che avrebbe dato al Parlamento la parola finale sulla Brexit: il governo alla fine l’ha spuntata, ma ha dovuto scendere a patti.

Da ieri i deputati di Westminste­r stanno votando su una serie di emendament­i che erano stati approvati in precedenza dalla Camera dei Lord: e il loro senso complessiv­o è la volontà di mettere dei paletti all’azione del governo ed evitare una «hard Brexit», cioè una rottura netta con la Ue.

L’emendament­o più «pericoloso» messo ai voti ieri era quello che chiedeva all’esecutivo di concedere al Parlamento un ruolo-chiave nei negoziati per l’uscita dalla Ue: in pratica, il diritto dei deputati di respingere un accordo con Bruxelles non gradito o di rifiutare la prospettiv­a di un «no deal», ossia una uscita traumatica senza accordo.

Theresa May ha fiutato la trappola: questo emendament­o rischiava di esautorare il governo e, in caso di bocciatura a ottobre dell’accordo finale con la Ue, spianava la strada alla sua defenestra­zione e magari alle elezioni anticipate.

Il governo ha accusato i «ribelli» di voler rovesciare il risultato del referendum del 2016 e bloccare la Brexit. In effetti, alla Camera dei Lord c’è una maggioranz­a contraria all’uscita dalla Ue e anche fra i deputati conservato­ri c’è un gruppo filoeurope­o che non è affatto contento della Brexit e che vorrebbe come minimo mitigarla nei suoi effetti. E l’emendament­o di ieri, se approvato, poteva mettere in moto una dinamica dagli effetti finali imprevedib­ili.

La giornata si era aperta male per la May: un sottosegre­tario alla Giustizia aveva annunciato le dimissioni perché scontento di come il governo sta gestendo la Brexit. E dunque sembrava che la «ribellione»» potesse avere successo. La premier allora ha incontrato di persona, pochi minuti prima del voto, un gruppo di potenziali «rivoltosi»: e ha assicurato loro che il Parlamento sarà comunque consultato nel prosieguo dei negoziati con l’europa. Non è un impegno formale, ma è bastato a racimolare i voti necessari a bocciare il temuto emendament­o.

I problemi non sono tuttavia risolti. Sono passati 15 mesi dal lancio della Brexit e ne mancano solo 9 all’uscita formale di Londra dalla Ue: però il governo britannico non ha ancora una posizione unitaria, diviso com’è tra i fautori di una rottura netta con l’europa e quelli che chiedono di mantenere la massima continuità. Theresa May si sta dirigendo per necessità verso una Brexit «soft», tanto che ha promesso un accordo doganale con la Ue: ma l’ala dura nel partito e nel governo è insofferen­te. E intanto la sabbia nella clessidra continua a scorrere.

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(Afp) Downing Street La premier britannica Theresa May, 61 anni. all’uscita dalla sede del governo

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