Luciana Alpi, la madre tenace che cercò invano la verità su Ilaria
Aveva 85 anni. Venerdì l’ennesima richiesta di archiviazione sull’omicidio della figlia
Il caso
● Ilaria Alpi è stata un’inviata del Tg3, venne uccisa a Mogadiscio, vicino all’ambasciata italiana, il 20 marzo 1994 insieme al suo cineoperatore Miran Hrovatin. Aveva 32 anni
● Alpi stava indagando sul traffico di armi e di rifiuti tossici in Somalia
● Per l’omicidio è stato prima condannato e poi assolto, dopo 17 anni di carcere, il miliziano Omar Hashi Hassan
L’ultima tenue speranza di trovare gli assassini di sua figlia, Ilaria Alpi, l’aveva vista sfumare cinque giorni fa, quando la Procura di Roma aveva chiesto un’ennesima archiviazione delle indagini.
Troppo anche per una infaticabile combattente come Luciana Alpi che dal 20 marzo 1994 non ha mai smesso di chiedere con una irremovibile dolcezza di sapere chi, per davvero, le aveva portato via la sua unica figlia.
Minuta, esile, aveva proseguito la sua lotta anche dopo la morte del marito Giorgio. Ieri la notizia della sua resa. Prima ancora che il gip mettesse la parola fine all’ultima pista. Quella che spuntava fuori da un’intercettazione disposta nell’ambito di un’inchiesta su un traffico di esseri umani. Nella quale due cittadini somali, parlando dell’omicidio della giornalista del Tg3 dicevano: «L’hanno uccisa gli italiani».
Un sospetto che aveva sempre aleggiato sul caso, segnato nelle sue infinite peripezie giudiziarie, da omertà, menzogne e depistaggi. Le inchieste di Ilaria Alpi, che dal ‘92 era stata inviata a seguire la missione di pace «Restore Hope», si erano incentrate su un traffico di armi e rifiuti tossici e sui rapporti ambigui tra il governo somalo e le complicità indicibili del nostro Paese.
Ilaria Alpi e l’operatore Miran Hrovatin furono uccisi il 20 marzo 1994 in prossimità dell’ambasciata italiana a Mogadiscio, a pochi metri dall’hotel Hamana, nel quartiere Shibis; in particolare, in corrispondenza dell’incrocio tra via Alto Giuba e corso Somalia, di ritorno da Bosaso, città del nord della Somalia. Lì Ilaria aveva intervistato il cosiddetto sultano di Bosaso, Abdullahi Moussa Bogor, che riferì di stretti rapporti intrattenuti da alcuni funzionari italiani con il governo di Siad Barre, verso la fine degli anni Ottanta.
La giornalista salì poi a bordo di alcuni pescherecci, ormeggiati presso la banchina A sinistra Ilaria Alpi, giornalista Rai uccisa nel 1994 a Mogadiscio, durante un servizio. A destra, il papà Giorgio, scomparso nel 2010, e la madre Luciana, morta ieri a 85 anni, al Quirinale nel 2008, quando la signora fu insignita della Medaglia d’oro al merito civile alla memoria di sua figlia e di Miran Hrovatin del porto di Bosaso, sospettati di essere al centro di traffici illeciti di rifiuti e di armi: si trattava di navi che inizialmente facevano capo ad una società di diritto pubblico somalo e che, dopo la caduta di Barre, erano illegittimamente divenute di proprietà personale di un imprenditore italosomalo.
Tornati a Mogadiscio, Alpi e Hrovatin non trovarono il loro autista personale, mentre si presentò Ali Abdi, che li accompagnò all’hotel Sahafi, vicino all’aeroporto, e poi all’hotel Hamana. Prima di arrivare, l’agguato e il duplice omicidio.
Ottantacinque anni, e il fisico provato dal dolore, Luciana Alpi cominciava a non farcela più. «Sono stanca, ma bisogna continuare ad andare avanti», diceva. Poi, l’ultima speranza e la nuova delusione. L’ultima. Il ricovero. E, ieri, l’addio.