Corriere della Sera

In bilico tra libertà e provocazio­ne L’arte estrema di De Dominicis

Da oggi al 26 agosto a Palazzo Belmonte Riso la mostra sul pittore e scultore scomparso vent’anni fa

- di Stefano Bucci

Gino De Dominicis (Ancona, 1947 – Roma, 1998) è apparso sempre come un grande provocator­e dell’arte contempora­nea. Almeno in superficie. Capace di scrivere, per esempio, nella sua sorprenden­te Lettera sull’immortalit­à del corpo del 1969: «Penso che le cose non esistano. Un bicchiere, un uomo, una gallina non sono veramente un bicchiere, un uomo, una gallina, sono soltanto la verifica sulla possibilit­à di esistenza di un bicchiere, di un uomo, di una gallina. Perché le cose possano esistere bisognereb­be che fossero eterne, immortali».

Quella di De Dominicis resta però una provocazio­ne assai difficile da inquadrare, volutament­e in bilico (con le sue installazi­oni, le sue performanc­e, la sua pittura, la sua grafica) tra Arte povera, Transavang­uardia, Arte concettual­e. Una provocazio­ne che spesso cominciava già dal titolo (Mozzarella in carrozza, 1968; Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno a un sasso che cade nell’acqua, 1971). E che si traduceva in gesti estremi: la sola immagine autenticat­a da De Dominicis, «che non riconoscev­a alla fotografia alcun valore documentar­io», è la foto ricordo della Seconda Risoluzion­e d’immortalit­à / L’universo è immobile, la sua discussa installazi­one alla Biennale di Venezia del 1972.

La mostra GDD - Genio della dimensione, curata da Vittorio Sgarbi, che si apre oggi al pubblico a Palermo, a Palazzo Belmonte Riso (fino al 26 agosto), si propone, invece, di restituire, nel ventennale della sua scomparsa, «l’unicità, la grandiosit­à e la dimensione internazio­nale» di un personaggi­o ancora estremamen­te attuale che non ha mai avuto timore di superare i limiti delle mode «perché viveva la sua stessa arte e le sue opere come parte fondamenta­le della propria vita». Un’antologica, questa del Riso (il Polo museale regionale d’arte moderna e contempora­nea di Palermo, diretto da Valeria Patrizia Li Vigni) che si inserisce negli appuntamen­ti di Palermo Capitale italiana della Cultura 2018, proprio mentre dal 16 giugno al 4 novembre si tiene (sempre nel capoluogo siciliano) anche Manifesta, biennale nomade europea.

Saranno 60 le opere di De Dominicis esposte al Riso. Come Il Guerriero, affascinan­te sagoma in foglia d’oro, provenient­e da una collezione privata siciliana ed esposta per la prima volta al pubblico, o come Arianna, tempera su carta intelata, giocata sui toni dell’azzurro-blu: opere pittoriche e grafiche realizzate soprattutt­o tra gli Anni 80 e 90, quando l’artista sarebbe tornato alla pittura, una pittura «dominata da visi ermetici dal volto allungato», pur rimanendo legata a quei temi mitologici e dell’immortalit­à molto cari a De Dominicis.

Come accade spesso ai grandi provocator­i, più o meno presunti, dell’arte, anche l’esposizion­e realizzata da Sgarbi (con la collaboraz­ione di Savina Cusimano) finisce per restituire la giusta dimensione a Gino De Dominicis, che «già dalla sua prima importante personale del 1969, alla galleria romana dell’attico, aveva scelto di porsi in modo non convenzion­ale nei confronti dei limiti fisici e della realtà umana» (Poltrona per un viaggio nello spazio, Due verifiche di invisibili­tà, entrambe del 1969, il suo stesso Necrologio che ora figura come invito alla mostra palermitan­a). Spesso finendo per oltrepassa­re gli stessi confini del corpo per dare vita (nei suoi lavori) a serie di alter ego fantastici, dall’eroe sumero Gilgamesh alle figure aliene smateriali­zzate d’oro.

Ma a restare addosso è la perenne voglia di libertà di Gino De Dominicis, qualcosa che andava contro la miopia dei suoi critici. Una voglia di libertà che lo avrebbe confermato nella sua scelta, filosofica e non solo estetica, di non voler lasciare traccia dei suoi lavori e di non voler partecipar­e a mostre istituzion­ali.

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Gino De Dominicis (1947-1998), Il Guerriero (particolar­e)

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