Corriere della Sera

«In ricordo di Chester»

L’altro leader dei Linkin Park pubblica «Post Traumatic»: ma non è un album sulla sofferenza Shinoda: «Con questo disco racconto la mia uscita dal dolore dopo la morte dell’amico Bennington»

- Andrea Laffranchi

C’è il momento del dolore. E poi quello dell’elaborazio­ne del lutto. Per Mike Shinoda il primo è arrivato il 20 luglio 2017. Quel giorno Chester Bennington, suo compagno nei Linkin Park, band da 55 milioni di dischi venduti, si è tolto la vita, divorato dai suoi demoni. I due si completava­no: Chester era il frontman, energia allo stato puro, un urlo rock unico; Mike era la mente musicale e la voce rap. In questi mesi Shinoda ha fatto i conti con i propri sentimenti e ha documentat­o il suo viaggio interiore in Post Traumatic (esce venerdì e verrà presentato dal vivo l’8 settembre al festival Milano Rocks). I testi sono diretti, non c’è bisogno di interpreta­zioni. 

Il suicidio Conoscevo bene i suoi problemi, ho fatto di tutto per evitare la tragedia ma non è servito

Place to Start esordisce con un «non ho una gamba su cui stare» e finisce con i messaggi vocali di condoglian­ze ricevuti; About You parla di quei momenti in cui tutto lo riportava al pensiero dell’amico; Nothing Makes Sense Anymore di quando non c’è più nulla che abbia senso; Crossing a Line del tornare in controllo della propria vita. «Queste canzoni raccontano della traiettori­a che ho attraversa­to da quel momento al punto in cui mi trovo ora. È un album autobiogra­fico».

Guardando alle sue spalle cosa vede?

«Il percorso parte da un punto oscuro e va verso una dimensione più luminosa. Non è un disco che vede tutto nero, c’è un anche un lato più leggero e umoristico. Sono scatti di momenti: ogni giorno avevo sensazioni differenti, a volte opposte e non nell’ordine classico degli stadi dell’elaborazio­ne del lutto. Ho cercato di catalogare un viaggio di cui non conoscevo l’evoluzione».

È vicino il momento in cui, pensando a Chester, non proverà più dolore?

«Credo che questo sia un percorso senza fine, una ricerca continua. Se adesso penso a lui per lo più mi sento bene. La cosa più importante è ricordare le esperienze positive. E anche ricordare che grande voce avesse e che performer incredibil­e fosse. Non ce n’era stato uno come lui prima e non ce ne sarà un altro come lui in futuro».

Quindi niente Linkin Park senza di lui...

«È troppo presto per dirlo. Nessuno di noi lo sa».

Il primo ricordo?

«Io e gli altri eravamo in una band (gli Xero ndr) il cui il cantante era Mark Wakefield. A un certo punto mollò il gruppo. Oggi è una persona felice e di successo, fa il manager per altre band, e lo ringrazio per aver sempre riconosciu­to che con lui non saremmo mai stati quello che siamo diventati».

E qui entra in scena quello che in «Over Again» lei chiama «genio»...

«Ci segnalaron­o un cantante che arrivava dall’arizona: si presentò al provino un ragazzo magrissimo, sottile, con questi occhiali da nerd e una maglietta da bowling anni 90... Insomma, aveva un look imbarazzan­te. Anche noi eravamo così e forse è proprio questo che ci ha reso grandi: non siamo mai stati cool».

Vi eravate resi conto che stava perdendo la sua battaglia? Si sente in colpa per non averlo salvato?

«Abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare. Non fingo di essere uno che sapeva tutto su Chester, ma ne so molto più degli altri. Parlavamo spesso. Per me era, anzi è, una moglie. Ma anche in quei casi non puoi dire di conoscere tutto. Non puoi salvare una persona, non puoi stare con lei 24 ore: appena ti volti potrebbe capitare qualcosa. Non mi sento responsabi­le di quello che è successo».

«Post Traumatic» è una doppia valvola di sfogo: la musica e la pittura. I suoi dipinti sono diventati la copertina e le grafiche dell’album.

«Faccio musica e dipingo nei momenti in cui cerco di sistemare le mie cose. Questo è stato un periodo di grande ispirazion­e, anche se veniva da qualcosa di brutto. Ho cercato di trovare un senso alla vita, ho vissuto momenti di conflitto e oscurità, mi sono gettato in quel caos invece che fuggire».

Ha mai pensato che qualcuno la potrebbe accusarla di sfruttare la tragedia?

«I troll sono ovunque su internet. Qualche settimana fa sui miei social qualcuno ha fatto una battuta di cattivo gusto sulla morte. Il dibattito che ne è seguito mi ha fatto capire che se dai attenzione alla negatività distruggi anche la positività del 99 per cento degli altri».

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41 anni Michael Kenji Shinoda è nato a Agoura Hills, in California, l’11 febbraio 1977
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Chester Bennington, il cantante che si è impiccato lo scorso anno. Il disco esce venerdì

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