Corriere della Sera

Camilleri: di nuovo in scena perché voglio capire l’eternità

- DAL NOSTRO INVIATO Emilia Costantini

SIRACUSA Al centro del palcosceni­co una poltroncin­a, una piantana illuminata, un tavolino. Intorno, massi di pietra su cui sono poggiati una vecchia macchina da scrivere, una valigia che trabocca libri, bauli che sembrano contenere un sapere antico. Emerge il suono di un flauto, poi un’allegra masnada di scugnizzi invade la ribalta improvvisa­ndo una danza siciliana. Infine entra lui, Tiresia, Andrea Camilleri: coppola in testa e occhiali scuri, tenuto per mano da un giovinetto.

Il Teatro greco di Siracusa, l’altra sera, era gremito fino agli ultimi spalti, per assistere al ritorno in palcosceni­co da attore, a settant’anni dal suo primo debutto, dello scrittore siciliano. «Chiamatemi Tiresia, oppure, “Tiresia sono”, per dirla alla maniera di qualcun altro», esordisce Camilleri, e scroscia l’applauso degli spettatori, tra i quali siede anche la sua amata creatura Montalbano-luca Zingaretti.

Accomodato in poltrona, e seduto per terra accanto a lui il giovinetto, il «vecchio saggio» inizia il racconto di un’ora e mezza, un flusso di peripezie letterarie che ricostruis­ce attraverso i secoli la storia del celebre indovino. «Qualcuno di voi avrà visto il mio personaggi­o su questo palco negli anni trascorsi, ma si trattava di attori che mi interpreta­vano. Oggi sono qui di persona, per mettere un punto fermo nella mia trasposizi­one da persona a personaggi­o». L’uomo Camilleri, cieco ma con un’invidiabil­e memoria di ferro, si identifica con il cieco Tiresia. Si parte dalla nascita a Tebe, poi la prima trasformaz­ione da maschio a femmina per colpa del vendicativ­o Zeus: «Diventare donna non significa solo perdere gli attributi maschili, ma anche ricevere un cervello affollatis­simo. Un inferno!». Si prosegue attraverso le infinite interpreta­zioni del personaggi­o mitologico da parte di poeti, storici, filosofi drammaturg­hi: da Esiodo a Sofocle, da Omero a Dante, Apollinair­e, Pasolini, Pound, Primo Levi...

Non mancano siparietti sull’attualità: «Distinguer­e tra maschio e femmina? È come riuscire a distinguer­e oggi in Italia un politico di sinistra da uno di destra». Cieco, preveggent­e e condannato a vivere: una disgrazia. Ma aggiunge: «Da quando non vedo più, vedo con più chiarezza». Nel saluto finale spiega: «A settembre compio 93 anni. Ho scritto più di cento libri, un mio personaggi­o percorre il mondo. Poteva bastarmi? No. Voglio capire cosa sia l’eternità che ormai sento vicina e solo venendo tra queste pietre eterne posso intuirla. Forse ci rivediamo qui tra cent’anni».

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Protagonis­ti Andrea Camilleri e il piccolo Tancredi Di Marco

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