Corriere della Sera

GLI AVVOCATI D’UFFICIO, SALVINI E I DIRITTI (NON) PRESI SUL SERIO

- di Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

Non sarebbe superfluo che chi fa il ministro dell’interno conoscesse la differenza tra avvocato d’ufficio e gratuito patrocinio: cioè tra l’avvocato che nel penale lo Stato assegna a chi non ne nomini uno di fiducia (a prescinder­e dal reddito e con spese sempre a carico del difeso), e invece il legale che in qualunque procedimen­to lo Stato paga a chi sotto 11.528 euro di reddito sia ammesso dall’ordine forense. E comunque l’avvocato d’ufficio non andrebbe «né banalizzat­o né volgarizza­to, se non altro — evoca il presidente del Consiglio nazionale forense, Andrea Mascherin — per rispetto di chi, come Fulvio Croce, per aver difeso questo istituto fu ucciso nel 1977 a Torino dalle Br». Ma, soprattutt­o, quando Matteo Salvini dice di voler «contrastar­e la lobby degli avvocati d’ufficio» per ridurre mole e tempi delle domande d’asilo dei migranti, in quanto «tutti fanno ricorso in automatico perché lo Stato garantisce un avvocato d’ufficio che paghiamo tutti noi», mostra di non credere nei diritti presi sul serio, peraltro già compressi nel 2017 dalla legge Minniti-orlando che solo per i richiedent­i asilo cancellò il grado d’appello e restrinse proprio il gratuito patrocinio. O è effettivo o non esiste il loro diritto (art. 10 della Costituzio­ne) di domandare (art. 24 sul diritto di difesa non sacrificab­ile ad altre esigenze) che almeno una volta siano giudici civili a valutare le ragioni della loro richiesta di protezione, ove negata in prima battuta dalle Commission­i amministra­tive territoria­li espresse dal Viminale (con un membro Unhcr). Salvini conteggia «nel 58% le domande respinte», ma glissa su quanti rigetti amministra­tivi siano poi ribaltati dai giudici: 67%, stando alla «proiezione empirica» fornita nel 2017 dal prefetto che al Viminale presiedeva la Commission­e per il diritto di asilo.

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