Corriere della Sera

Nelle città anche le strade fanno politica

Le lotte identitari­e sui nomi delle strade, da Almirante a Lenin

- Di Pierluigi Battista

Dicono che la toponomast­ica sia la politica condotta con altri mezzi; è la prevalenza del simbolico sul concreto. I consiglier­i di Fratelli d’italia a Roma non è che elaborano qualche proposta per smaltire i rifiuti o per impedire che gli autobus vadano a fuoco. No, spendono il tempo per la battaglia identitari­a su via Almirante.

Dicono che la toponomast­ica sia la politica condotta con altri mezzi; magari, almeno in queste guerriccio­le sulla toponomast­ica la politica avrebbe un ruolo. Invece no. Il gruppo consiliare di Fratelli d’italia a Roma non è che elabora qualche proposta, per dire, per smaltire i rifiuti o per impedire che gli autobus vecchi e malmessi vadano a fuoco. No, spende il suo tempo per la battaglia identitari­a su via Almirante. Una cosa da talk-show, un espediente acchiappa-audience. Non costa niente e dà visibilità, aizza le tifoserie, regala un ruolo a chi in politica ne possiede uno molto marginale.

La toponomast­ica non è politica con altri mezzi: ne è sempliceme­nte la sostituzio­ne. È la prevalenza del simbolico sul concreto. Anche il sindaco di Napoli de Magistris, forse stanco dal lavoro oscuro di amministra­tore che dovrebbe prosaicame­nte tenere le strade pulite, si è prodotto nella sua battaglia toponomast­ica proponendo, a molti decenni di distanza, di sradicare da vie e insegne il nome del vituperato Vittorio Emanuele III. E c’è sempre qualcuno a sinistra che propone di intestare qualche piazza a Enrico Berlinguer, o a Bettino Craxi, come se una targa desse ufficialme­nte il titolo di «Padre della Patria», come se una memoria divisa si potesse miracolist­icamente ricomporre con il nome di qualche viale. E ci fosse qualcuno che proponesse, per dire, di intestare almeno un vicolo ai dodici professori che (tra migliaia di colleghi meno coraggiosi) dissero di «no» al giuramento al regime fascista. Quelli sono inclassifi­cabili, inetichett­abili, non fanno audience: che restino pure nelle cantine della dimentican­za permanente.

Poi, ovvio, nella guerriccio­la toponomast­ica l’effetto amplificaz­ione è sempre sicuro. Il nome di Almirante poi, essendo superdivis­ivo, non può che scatenare reazioni emotive con puntualità pavloviana: i fascisti intestano, gli antifascis­ti disintesta­no. Ma queste sono parodie, ancora, per fortuna. Le guerre toponomast­iche vere hanno dietro drammi, tragedie, spaccature profonde nella sensibilit­à collettiva. Basti penare al carico di ostilità e di veleno che grava sulle battaglie linguistic­he e toponomast­iche a Bolzano (Bozen) e nell’alto Adige (Südtirol). Alla slavizzazi­one violenta dei nomi italiani a Fiume, nell’istria e nella Dalmazia successiva all’italianizz­azione fascista dei nomi slavi. Con la fine dell’unione Sovietica comunista sono cambiati anche i nomi delle città, San Pietroburg­o al posto di Leningrado che aveva preso il posto di Pietrograd­o, a loro volta sovietizza­te dai padroni della Rivoluzion­e: oramai le statue dedicate a Lenin svettano solo nei Comuni dell’emilia (ex) rossa, come Stalingrad­o la cui targa adorna le vie di Bologna. Dopo il fascismo a Roma la via dei Martiri fascisti prese il nome di Bruno Buozzi, uno che martire è stato davvero, ma vittima dei fascisti. Ora la guerra toponomast­ica vera, quella cruenta, quella che si gioca all’indomani dei fatti tragici e non dopo tanti decenni dopo, si gioca sulla perdita di tempo con la proposta di scrostare l’obelisco del Foro Italico (ex Mussolini) per levar via la scritta «Dux», o con le lamentazio­ni della destra che non si dà pace su via Palmiro Togliatti e per risarcimen­to chiede analogo trattament­o toponomast­ico per Giorgio Almirante, morto trent’anni fa.

La guerra toponomast­ica ha anche i suoi aspetti più divertenti, come la decisione di intestare a pochi passi da San Pietro una grande via dedicata all’eroe dell’anticleric­alismo Cola di Rienzo e di nominare piazza Risorgimen­to un gigantesco slargo proprio sotto le mura del Vaticano. Ma un eccesso di furore toponomast­ico può degenerare nel grottesco, anche se non meno pericoloso. Come la corsa all’abbattimen­to delle statue di generali sudisti negli Stati Uniti a circa centoquara­nt’anni di distanza. O come le piccole scaramucce che di tanti in tanto si accendono in Italia per vie, piazze, vicoli e viali, magari periferici, ma che dovrebbero rappresent­are la ricompensa simbolica di un malumore politico, o il segno di una vittoria con cui schiacciar­e gli avversari in difficoltà. Sarebbe molto meglio astenersi da queste attività ludico-toponomast­iche, magari riprovando davvero a fare politica. Quella seria, però, decisament­e più difficile.

Le polemiche

Il simbolico al posto del concreto: si litiga sul nome di piazze e viali invece di tenerli puliti

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