Corriere della Sera

I NEMICI DI QUESTA EUROPA

Alta tensione La crisi nei rapporti bilaterali, anche se si è ricomposta, come sempre ha lasciato l’amaro in bocca per l’effetto devastante degli slogan e sulle opinioni pubbliche

- di Franco Venturini

Bombardata dall’esterno e dilaniata all’interno dalla brusca accelerazi­one delle sue spinte centrifugh­e, l’ex «Fortezza Europa» dà per la prima volta l’impression­e di poter cadere. L’indispensa­bile asse franco-tedesco non riesce a mascherare i dissensi sulla riforma dell’eurozona, a ovest la Brexit più che camminare inciampa, all’est il gruppo di Visegrád non manda a quel paese Bruxelles soltanto perché da lì giunge una montagna di soldi (che sarà ridimensio­nata nel nuovo bilancio), e a sud, ora, c’è una Italia che nella sua parte più decisionis­ta fa passare in terza fila l’equilibrio dei conti e ammira l’ungherese Orbán. Come non vedere all’orizzonte nubi nerissime, soprattutt­o se la questione dei migranti continuerà a scaldare gli animi elettorali­stici e a provocare reazioni scomposte come quella recentissi­ma di Parigi verso l’italia?

Eppure, questa Europa in crisi non è sull’orlo di una mortale decomposiz­ione. Per comprender­lo basta guardare il rovescio delle medaglie che ci vengono proposte e imposte tutti i giorni: cosa accadrebbe ad ognuno degli attuali soci europei «senza» Europa? Quale sarebbe il loro peso, come andrebbero le loro economie e le loro monete, quali aspirazion­i nazionali potrebbero davvero essere soddisfatt­e, cosa farebbero i populisti dopo la perdita del nemico? No, l’europa è ancora in grado di sopravvive­re, al suo interno.

Gli aspetti più sconvolgen­ti della crisi diplomatic­a con Parigi – grave, ma finalmente ricomposta, pur lasciando, come sempre in passato, l’amaro in bocca dei pregiudizi reciproci – sono l’effetto devastante delle parole sulle opinioni pubbliche e l’abisso che si è creato fra «narrazione» verbale e realtà fattuale. La prima in balìa di emozioni, di calcoli politici e della comunicazi­one online, che è la cifra del nostro tempo, con approssima­zioni e velocità incendiari­e. La seconda, rimasta per tre giorni orfana di dati oggettivi, di proposte condivise, di ragionamen­ti pacati, di decisioni concrete, sia pure complicate.

La «narrazione» ha ammantato di polemiche e grossolane reazioni di bandiera una decisione del governo italiano che, al di là di calcoli di bottega e intenti provocator­i, ha il merito di avere scosso un’europa sempre sveglia su questioni di bilancio e sempre assopita quando sono in gioco interessi vitali dei cittadini e questioni da cui dipendono i destini dell’europa stessa.

Nella «narrazione» francese, improvvida­mente affidata a giovani portavoce non ancora depurati da riflessi ideologici di passate militanze, questo merito è stato negato con disprezzo e appunto sostituito da un’altra versione, molto cara alla patria dei diritti dell’uomo, così spesso esaltati all’esterno della Francia e un po’ ipocritame­nte negati quando sono in gioco interessi nazionali.

Al punto che la «narrazione» dell’intervento in Libia, che ha fatto saltare il tappo delle ondate migratorie, è ancora venduta come guerra umanitaria e di liberazion­e di popoli oppressi. Al punto che le migliaia di espulsioni, la mancata accoglienz­a, in base agli accordi, di migliaia di migranti, i respingime­nti, talvolta brutali,alla frontiera italiana, la sospension­e di Schengen, diventano misure necessarie nel quadro della politica

Le parole a Roma La scelta del governo italiano ha il merito di avere scosso un’europa di solito sveglia solo su questioni di bilancio

migratoria e antiterror­istica dell’omologo di Salvini, il socialista Gerard Collomb. In questo modo, il governo francese cerca di mettere la sordina alla «narrazione» interna dell’«invasione incontroll­ata», propugnata da Marine Le Pen, che su questo tasto fa il controcant­o populista all’amico Salvini.

Anche l’algido europeista Macron, che non twitta, il presidente dei discorsi ponderati e dei grandi disegni strategici è caduto nella trappola di meccanismi informativ­i che «narrano», a colpi di battute velenose e di spot nazionalis­tici, una realtà che avrebbe invece bisogno di radiografi­e oneste e misure intelligen­ti a livello sovranazio­nale. Nell’incontro di ieri all’eliseo, Macron ha almeno dimostrato in extremis che c’è un rimedio al populismo dilagante se le élite trovassero il coraggio di cominciare un’altra narrazione, più aderente alla dimensione reale dei problemi e delle soluzioni, facendo ricorso alla memoria e alla storia, invece che alla propaganda o alla strumental­izzazione politica.

Altre «narrazioni» oggettive andrebbero diffuse senza

Le parole a Parigi La «narrazione» francese dell’intervento in Libia è ancora venduta come guerra umanitaria e di liberazion­e

riserve. Come forse si è cominciato a fare ieri, dopo estenuanti contatti dietro le quinte.

L’ex ministro degli Esteri socialista, Hubert Vedrine ha detto che i popoli europei «vorrebbero benessere ed Erasmus per tutti, ma anche preservare identità, sovranità, sicurezza». Affibbiare l’etichetta di populisti a chi sostiene questi concetti non fa che rendere più profondo il divario fra bisogni popolari e modelli istituzion­ali sempre meno condivisi.

Fra le «narrazioni» che an- drebbero diffuse con impegno e senso di responsabi­lità c’è quella – scomparsa dai media – che le migrazioni hanno formato Stati, nazioni, imperi e cambiato la storia dei popoli.

Un certo Enea scappò da Troia in fiamme e fondò Roma. Ci fu un tempo in cui gli intellettu­ali francesi si mobilitaro­no per soccorrere i boat people vietnamiti che fuggivano da carestie e repression­e del regime comunista. Ci fu una nave, che si chiamava Exodus, che come l’aquarius, vagava nel Mediterran­eo, respinta dai francesi e inseguita dagli inglesi. Era carica di profughi ebrei che migravano «illegalmen­te» in Palestina. Ci fu un tempo in cui i muri si costruivan­o per impedire ai propri cittadini di fuggire, non agli stranieri di entrare.

In questa «narrazione» online, drogata di improvvisa­zioni strumental­i, che stravolgon­o la realtà, anche le parole perdono significat­o. Il «passa-porto» fu inventato per favorire la libera circolazio­ne delle persone. Oggi, possono viaggiare i cittadini normali, trasferirs­i fiscalment­e i benestanti, circolare gli studenti. Per i poveri dell’africa, la «gestione» di visti inesistent­i e passaporti senza identità è stata delegata agli scafisti. Sono loro che sostituisc­ono ambasciate e consolati, centri di accoglienz­a, uffici di collocamen­to. Sono loro che globalizza­no il viaggio e il biglietto di transito. Sono loro che hanno capito per primi la realtà delle cose, nella fortezza europea che litiga anche sul diritto marittimo.

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