Tre ore davanti ai giudici, parla Lanzalone
Il super consulente M5S si difende: mai commesso illeciti. E Parnasi dal carcere non risponde al gip
ROMA Silenzi e prime ammissioni nella giornata di interrogatori di garanzia seguiti agli arresti dell’operazione Rinascimento, che tre giorni fa ha portato in carcere sei persone e altre tre ai domiciliari.
Il piatto forte arriva nel tardo pomeriggio con le tre ore di faccia a faccia tra Luca Lanzalone, l’ultimo a essere ascoltato, e il gip Maria Paola Tomaselli, affiancata dal pm Barbara Zuin. Completo blu, sguardo imperscrutabile,
Civita Segnalai mio figlio a Parnasi Ma è stata solo una leggerezza Ex assessore regionale Pd
Lanzalone sostiene di fronte agli inquirenti che «nella mia vita non ho mai compiuto nulla di illecito, respingo con forza ogni addebito». L’ex presidente di Acea, fresco di dimissioni, era accompagnato dal suo legale Giorgio Martellino. È accusato di corruzione per aver aiutato il costruttore romano Luca Parnasi, facendo gli interessi suoi anziché quelli del Comune e ricevendo in cambio la promessa di 100 mila euro in incarichi per il suo studio legale. Prima di lui era toccato in carcere (via rogatoria da Milano) al dominus del sistema illecito, l’immobiliarista Parnasi, che si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Stessa scelta di Adriano Palozzi, capogruppo regionale di Forza Italia, finito ai domiciliari con l’accusa di aver intascato 25 mila euro con motivazioni fittizie.
Parla invece il collaboratore di Parnasi, Luca Caporilli, che ammette la consegna di 1.500 euro a Daniele Leoni (funzionario del dipartimento urbanistica del Campidoglio) durante una cena. Lui e altri cinque uomini di Parnasi sono in carcere e rispondono a vario titolo anche di corruzione, traffico di influenze, frode fiscale, finanziamento illecito.
Parla anche l’ex assessore regionale del Pd, Michele Civita: «Sì, ho segnalato mio figlio a Parnasi. Si era appena laureato, ma è stata solo una leggerezza compiuta in buona fede: la conferenza dei servizi sullo stadio era ormai chiusa dai sei mesi e neanche è stato assunto».
Anche il presidente del Coni Giovanni Malagò, appreso «dai giornali» di essere indagato, ha chiesto alla Procura, tramite l’avvocato Carlo Longari, di essere sentito quanto prima per chiarire la sua posizione.