Corriere della Sera

QUALE EUROPA DEVE SOPRAVVIVE­RE

- Di Franco Venturini Fventurini­500@gmail.com

Ma se vogliamo valutare correttame­nte i pericoli che l’insidiano, è anche alla scena internazio­nale che dobbiamo guardare. O forse dobbiamo guardare alle vicende interne dei Paesi europei abbinandol­e alle spinte internazio­nali. All’ovest come all’est.

Cominciamo dall’ovest (non si chiamava Occidente, termine che viene usato di meno in meno?). Donald Trump, il nostro grande alleato americano, non è più un mistero per gli europei. Al G7 canadese il capo della Casa Bianca è stato di una trasparenz­a disarmante. Prima di arrivare ha buttato sul tavolo del vertice il frutto avvelenato del ritorno della Russia, che gli europei non potevano accettare senza qualche accordo sull’ucraina. Poi ha sparato a raffica sui dazi che forse diventeran­no ancora più cattivi (colpiranno le automobili?), sulle sanzioni che ovviamente riguardera­nno anche le aziende europee presenti in Iran, sulle spese per la difesa che sono insufficie­nti. E infine ha ritirato la sua firma dal comunicato finale. Il solito imprevedib­ile Trump? Niente affatto.

Trump è stato, piuttosto, di una grande coerenza. Perché al presidente l’europa, così com’è, non sta bene. In campagna elettorale Trump elogiava Londra e prevedeva già «altri Brexit». Il gruppo di Visegrád ha l’appoggio suo e del suo ex consiglier­e (ma per sempre ispiratore) Steve Bannon. Che ha incontrato più volte anche Matteo Salvini. Gli alleati europei, per dirla in breve, alla Casa Bianca di oggi piacciono divisi. Ognuno per sé, ognuno (salvo forse la detestata Germania) facilmente controllab­ile dal peso dell’america, senza sogni unitari, senza ambizioni blasfeme come la «difesa europea» o la pretesa di affermare «regole» commercial­i.

È inutile rifare l’elenco dei profondi dissidi che oggi, per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale, dividono le due sponde dell’atlantico, dalla tutela dell’ambiente all’iran ai commerci. Peraltro nessuno in Europa è tanto sconsidera­to da voler rompere con gli Usa, che restano comunque un indispensa­bile alleato se non altro per la nostra sicurezza. Ma è bene che l’europa sappia dove punta l’interlocut­ore atlantico. Ed è bene che capisca anche un’altra cosa, involontar­iamente confermata ieri l’altro dal segretario di Stato Mike Pompeo: la storica stretta di mano tra Trump e Kim deve dare i suoi frutti in termini di disarmo nucleare «tra due anni o poco più». Benissimo, ma è soltanto una coincidenz­a che per allora Trump starà brigando la conferma alla Casa Bianca? E potrà dire di aver eliminato gli ICBM (missili interconti­nentali) nordcorean­i che minacciava­no la costa pacifica degli Stati Uniti? Un Trump bis va messo nel conto.

Poi c’è l’est, che si chiama Putin. Sarà anche questa una coincidenz­a, ma da sempre gli zar, l’unione Sovietica e poi la Russia hanno voluto avere per interlocut­ore (e cliente) una Europa debole, il più possibile divisa al suo interno e il più possibile divisa dagli Stati Uniti. Se è così, i regali ricevuti nell’ultimo anno sono tanti che il Cremlino non deve più sapere dove metterli. L’europa è divisa in due sui rapporti con Mosca, e ora comincia a dividersi sul mantenimen­to delle sanzioni post-crimea. Ottimo, grazie Italia. L’irrisolta questione migranti è una bomba a orologeria sotto i palazzi di Bruxelles. Ottimo, meglio che la bomba scoppi così parleremo agli europei uno per uno. L’europa però è unita nei contrasti con l’america, e cerca una via d’uscita per le sue imprese in Iran. Stupendo, Putin in persona non avrebbe saputo fare di meglio.

Forse ci sarà presto un vertice Trump-putin a Vienna o altrove, e nel caso si parlerà di una Europa fragilizza­ta, di un G7 a maggioranz­a europea che non serve più, di accordi di disarmo nel teatro europeo che la tecnologia militare ha reso obsoleti. I Due constatera­nno, accanto a contrasti strategici ormai permanenti, che sull’europa la loro intesa è invece possibile. O forse già fatta.

L’europa è tra due fuochi, e rischia moltissimo. La speranza, oggi davvero audace, è che questa nuova consapevol­ezza spinga le principali capitali europee a reagire con un soprassalt­o di «sovranismo europeo», per usare il linguaggio dei tempi. Che vengano riscoperti i compromess­i dinamici che hanno sin qui tenuto in vita l’europa, che si dia attuazione alle diverse velocità di integrazio­ne. A cominciare dal vertice di fine giugno e a cominciare dalla questione dei migranti, sulla quale, a prescinder­e dai suoi attuali metodi, l’italia ha diritto di chiedere un diverso impegno degli altri europei. Francia compresa. Ma interpella­ndo per prima quell’ungheria «amica» che di rifugiati non ne ha presi nemmeno uno.

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