GLI ANNI 80, L’ULTIMA VOLTA CHE SIAMO STATI FELICI
Caro Aldo, fra poco compirò 62 anni. Lei quanti ne ha? Che cosa ne sa degli anni Ottanta? Quanto conosce realmente per avervi preso parte, per averli vissuti e condivisi, in bene e in male? La (per fortuna) sempre meno ricorrente concezione degli anni 80 come vacui e senza contenuto alcuno non ha minimamente riscontro con ciò che quel preciso periodo ha significato e con ciò che ha inciso nella cultura e nel quotidiano di allora. Penso che potrebbe apparire imbarazzante un pur banale confronto tra la percezione del welfare personale e della crescita sociale del Paese inteso come comunità di persone terze di quel tempo in rapporto a quelle delle ultime due o tre decadi recenti.
Paolo Volpari, Olbia
Caro Paolo,
H o dieci anni meno di lei, quindi negli anni 80 c’ero, e le confesso che non ne ho un grande ricordo. Finivano anni duri, i 70, in cui i giovani avevano combinato a volte disastri, ma avevano pensato che si potesse essere felici soltanto tutti assieme, affidando la vita alla politica, pensando che le cose e il mondo potessero cambiare. La mia generazione ha pensato che si potesse essere felici soltanto ognuno per proprio conto; e anche noi siamo andati incontro alla disillusione e alla sconfitta. Furono gli anni della ritirata nel privato. Persino ballare si ballava da soli, con la discomusic e la febbre del sabato sera. «Torna a casa in tutta fretta c’è un Biscione che ti aspetta» non era solo il fortunato slogan delle prime tv di Berlusconi; era lo spirito del tempo. Il tempo del riflusso.
Certo che ora si sta peggio. In mezzo c’è stata la rivoluzione del mondo globale, che ha esportato il lavoro dove costa meno, e ha importato milioni di immigrati disposti a lavorare molto in cambio di poco. C’è stato l’euro, che ha sovvertito le fondamenta dell’economia italiana, basata su una moneta debole e svalutazioni che sopperivano al deficit di competitività di molte nostre imprese. E c’è la Rete. Che si innesta appunto sull’egoismo degli anni 80, trasformandolo nel narcisismo: ancora più fatuo e sterile, fonte di nulla se non di frustrazione e infelicità. In questo senso sì, possiamo dire che una volta eravamo più felici; o che forse lo siamo stati — a parte le gioie private — per l’ultima volta, perché il futuro ancora non ci faceva paura.