Missoni, entra Fsi con il 41,2% «Sviluppo in Cina e opzione Borsa»
Il Fondo strategico investe 70 milioni. La famiglia: il marchio resta in mani italiane
MILANO L’ingresso del Fondo strategico italiano nel capitale di Missoni, con una quota del 41,2% e un investimento di 70 milioni, segnala ancora una volta che oggi la creatività e l’imprenditorialità delle aziende famigliari non bastano più per competere e crescere in un mercato sempre più complesso, dove ci si confronta con colossi come Lvmh, Kering o Richemont. Servono capitali e competenze manageriali. Ma questa volta è diverso. La famiglia non vende allo straniero che offre di più. Resta «con una quota del 58,8% e vuole continuare a investire», assicura Angela Missoni, che conserva la carica di presidente e direttrice creativa del gruppo fondato da Ottavio Missioni nel 1953. «Sono orgogliosa perché siamo riusciti a mantenere il marchio in mani italiane per 65 anni e anche a tenere la famiglia unita», premette. Con questa operazione spera di «lasciare un’azienda sana alla terza generazione. Abbiamo un nome molto più importante del fatturato, ma dobbiamo espanderci sbarcando su nuovi mercati. Per questo avevamo bisogno di un partner, che abbiamo trovato in Fsi», aggiunge. Consigliata da Rothshild, l’advisor della famiglia. La Borsa? «E’ un’opportunità a cui pensiamo». Ma «senza fretta».
Per Maurizio Tamagnini, amministratore delegato di Fsi, l’operazione incarna «l’essenza» per cui è nato il fondo a capitale pubblico in difesa del Made in Italy. «I 70 milioni di investimento saranno completamente al servizio della crescita aziendale», sostiene. Senza nascondere una punta di patriottismo: «Se fossimo in Francia questa operazione sarebbe assolutamente normale. Deve diventare un modello anche per altre aziende, per aumentare le dimensioni, e conquistare mercati sempre più lontani e più costosi, ma cruciali per il Made in Italy», sostiene parlando davanti all’amico (ed ex ministro dell’economia), Vittorio Grilli che lo ascolta in fondo alla sala della conferenza stampa. La famiglia, che ha deciso di riportare in casa la seconda linea M Missoni, finora in licenza, «oltre a investire, ci ha chiesto competenze manageriali», racconta Tamagnini. Da qui l’ingresso di Michele Norsa, il manager che ha portato Valentino e Ferragamo in Borsa, dopo l’esperienza al vertice della Marzotto, e che oggi svolge «un ruolo di aiuto alle famiglie imprenditoriali» come industrial partner di Fsi. Dopo l’accordo Missoni continuerà a essere guidata da Emilio Carbonera, direttore generale «con ampie deleghe»; Norsa diventa vice presidente e si occuperà della strategia. Ma, precisa, «sarò anche garante dei rapporti all’interno della famiglia e tutor per la terza generazione». Con lui arriveranno nuovi manager. A guidare la crescita saranno «l’espansione in Cina, che nel 2025 assorbirà il 50% dei beni di lusso, e il rafforzamento dell’e-commerce, che già oggi rappresenta il 10% del fatturato», spiega Norsa. Il piano triennale, ma con orizzonte a 5 anni, prevede inoltre l’espansione della rete dei negozi, con aperture («delle dimensioni giuste») nei principali mercati. E l’estensione dall’abbigliamento agli accessori. Con sede a Sumirago (Varese), Missoni fattura circa 150 milioni di euro, con l’indotto, esporta il 75% della produzione e impiega circa 300 dipendenti. L’obiettivo? «Crescita organica sana e crescita di perimetro high single digit o a doppia cifra», anticipa Norsa. «Oggi il marchio fattura meno di 10 milioni in Asia e meno di 10 milioni in Nord America: l’opportunità per crescere è enorme», aggiunge Tamagnini.
La strategia
Il piano triennale: espansione della rete dei negozi e ingresso negli accessori