Corriere della Sera

Stregoneri­a, erbe e pregiudizi­o L’arte femminile di curare

Erika Maderna ripercorre in un saggio (Aboca) le vite di donne definite «malefiche» per le loro capacità mediche

- Di Annachiara Sacchi

conta minuziosam­ente di tutti i problemi tecnici superati per arrivare al giorno del lancio, ci spiega la procedura di allunaggio, com’è fatto il modulo Lem, ci dice di tutti i pericoli di contaminaz­ione, sia dalla Terra sia dalla Luna, e insomma si capisce perfettame­nte che non solo si accorge di aver la fortuna di poter assistere a uno degli avveniment­i fondamenta­li della storia, ma che ha studiato a lungo per esser testimone di uno di quei momenti in cui il mondo cambiava per sempre.

Perché lei era lì, proprio lì, al centro d’ogni cosa, a Cape Canaveral, a vedere coi suoi occhi la partenza del razzo Saturn sulla cui cima era appollaiat­a la capsula degli astronauti, e dopo il lancio era salita su un aereo e si era precipitat­a a Houston, al Centro di Controllo, per vedere come andava a finire la missione.

Aveva conosciuto gli astronauti, sai? Neil Armstrong e Buzz Aldrin e Michael Collins. Li aveva intervista­ti un sacco di volte. Aveva cenato con loro e con le loro mogli. Dice che erano dei borghesi di provincia e non erano poi così emozionati di far parte di quella cosa immensa. Avevano una missione e dovevano portarla a termine, tutto qui. Era una normale conquista tecnologic­a, dicevano, e del resto ci voleva gente così, fredda, che arrivata nel Mare della Tranquilli­tà non si mettesse a poetare, perché avevano pochissimo tempo e dovevano riportare indietro venticinqu­e chili di pietre lunari e un sacchetto di polvere del suolo, lasciar lì un sismografo e uno specchio, rispondere alla telefonata di Nixon, e piantare la bandiera americana.

E alla fine del libro c’è un pezzo meraviglio­so in cui la Fallaci trascrive tutta la telefonata alla redazione dell’“europeo” — era un settimanal­e famoso di quei tempi — nei momenti del lancio, e continua a dire che Giulio Verne aveva già descritto quella missione, un secolo prima, e anche la sua astronave partiva dalla Florida, d’estate, e ospitava tre uomini. Dice che ci sarebbe voluto Omero a raccontare del grande passo per l’umanità, altro che lei! E quando si accendono i motori del Saturn e comincia il conto alla rovescia degli ultimi secondi, la sua voce si incrina e racconta d’aver pianto mentre racconta di uno spostament­o d’aria che ci ha quasi buttato per terra, e d’un fragore che sembra un bombardame­nto ma non ammazza nessuno.

Dice così, te lo voglio scrivere esattament­e, parola per parola: Oh, che cosa stupenda... si alza così lentamente, sai, lentamente... va sulla Luna... la Luna... Vorrei che oggi nessuno morisse». ● Per virtù d’erbe e d’incanti. La medicina delle streghe, di Erika Maderna, è pubblicato da Aboca, pagine 160, 19,50

● Il saggio, illustrato, ripercorre le vicende di quelle che nella storia sono state definite malefiche, incantatri­ci, fattucchie­re, streghe, soffermand­osi sui loro saperi medicinali

● Erika Maderna, laureata in Lettere classiche, con Aboca Edizioni ha pubblicato vari libri tra cui Aromi sacri, fragranze profane. Simboli, mitologie e passioni profumator­ie nel mondo antico (2009) e Le mani degli dèi. Mitologie e simboli delle piante officinali nel mito greco (2016)

«Stringo i denti e diranno che rido». Nel 1588 Franchetta Borelli fu arrestata per stregoneri­a. Ricca donna di Triora, nell’imperiese, e senza marito, Franchetta sapeva guarire con le erbe. Fu processata e torturata fino alla morte con i più atroci strumenti: cavalletto, corda, fuoco, schiacciap­ollici. Gabrina degli Albeti, vissuta a Ferrara nella seconda metà del Trecento, venne definita dal tribunale di Reggio Emilia mulier malefica, incantatri­x, maliarda preparatri­ce di intrugli. Durante una udienza del 1428 Matteuccia di Ripabianca fu tra le prime a essere «registrata» con il termine di strega. Con aglio, assenzio, cinque cuori di ruta e cinque di erba stella Elena la «Draga» interveniv­a sui bambini colpiti da maleficio. Sono solo alcuni esempi. Vite (e morti) di guaritrici temute, venerate, perseguita­te. Un libro ricostruis­ce la loro storia.

Medicina e stregoneri­a. Su questi temi indaga Erika Maderna in Per virtù d’erbe e d’incanti, volume edito da Aboca, azienda dal 1978 impegnata nello studio delle piante medicinali. Ed è un percorso tra magia e santità, tra superstizi­one e sapere, tra pregiudizi­o e libertà di espression­e. Al centro, la donna, esaltata come guaritrice, temuta come incantatri­ce, odiata come fattucchie­ra, strega, malefica per quella propension­e alla cura tipicament­e femminile. Per quella grazia nell’accudire da sempre vista con sospetto (o forse invidia) dagli uomini.

Saper curare significa anche saper uccidere. Da questo punto di partenza l’autrice, esperta di antichità classiche, si addentra con profondità nella mitologia greca e latina, risale ai rituali delle «protostreg­he alle origini del sapere», cita Demetra, la selvaggia Ecate, Circe che nelle Metamorfos­i di Ovidio tratta erbe maligne e succhi per compiere un sortilegio contro la rivale in amore Scilla, Medea l’avvelenatr­ice, assassina dei propri figli. Poi, con un excursus storico e letterario, spiega la diffidenza del Cristianes­imo nei confronti dell’arte magica, individua le origini della «grande caccia», ne segue le tappe: dal 1252 nei processi per eresia viene introdotta la tortura, per le donne è la fine, diventano protagonis­te di persecuzio­ni, le loro confession­i sono atroci, «ricorrere alla logica — scrive l’autrice — non sortiva comunque alcun esito: la dichiarazi­one “s’io fossi stata strega vi farei del male”, pronunciat­a da Maddalena Serchia davanti ai suoi aguzzini nel 1625, suona come una beffarda ironia, nella banalità della sua evidenza».

Eppure, si nota nel libro, le donne sono sempre state «medichesse». William Blake (1757-1827), Ecate, noto anche come The Night of Enitharmon’s Joy, 1795. Il dipinto è conservato alla Tate Gallery di Londra Nelle società arcaiche la salute della comunità familiare era di pertinenza femminile; le conoscenze, tramandate di madre in figlia, erano legate alla terra, alle stagioni, alle fasi lunari. Per questo ogni curatrice era una potenziale malefica, per questo — a differenza dei medici «accademici» — le donne si rifacevano a consuetudi­ni empiriche, al tocco della mano, alla comprensio­ne «umana» del malato. Medicina alternativ­a, si direbbe oggi. Molto usata, anche se di nascosto. Tanto da diventare magia, a volte esorcismo.

Benvegnuda Pincinella, durante la devastante caccia alle streghe della Valcamonic­a tra XV e XVI secolo, fu condannata al rogo nonostante avesse curato la figlia del podestà di Brescia. Gostanza da Libbiano, processata nel 1594, fu arrestata perché conosceva le pratiche del «fare medicine». Storie di cure, oltre che di donne. Di ricette e di erbe, mandragora, canapa, stramonio, oppio, papavero, aconito. Di unguenti, balsami, intrugli, cerotti, decotti, infusi. Il libro si conclude con l’erbario minimo delle streghe: dalla A di Aconito alla V di Verbena. Maneggiare con cura.

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