Come non essere (più) prigionieri della modernità
Giuseppe De Rita e Antonio Galdo analizzano per Einaudi «il presente e le sue trappole». Dal linguaggio al lavoro, i rischi connessi alla tecnologia
La politica di oggi assomiglia al Bar Sport e «ha il timbro cacofonico di Tutto il calcio minuto per minuto», la popolarissima rubrica che ha monopolizzato dagli anni Sessanta il rito domenicale della cronaca calcistica. «Una spirale di interruzioni, minuto per minuto, dai vari stadi, per catturare l’emozione del tifoso-elettore a colpi di annunci di goal e di rigori».
Per Giuseppe De Rita e Antonio Galdo è il presentismo il male del nostro tempo ed è un morbo che ha contagiato la politica ma in realtà ha cambiato il segno dell’intera modernità. Sconvolgendo la dimensione pubblica come quella privata, le istituzioni e le imprese, fino alla sfera dei sentimenti. È un mutamento antropologico che ha fatto «prigioniero» l’uomo occidentale, la modernità dunque da sfida che presentava rischi e opportunità è diventata né più né meno che «una trappola».
È uscito in questi giorni da Einaudi Prigionieri del presente, un pamphlet scritto a quattro mani da De Rita e Galdo, una requisitoria a senso unico contro quella che viene considerata una sorta di dittatura della tecnologia. Come è tradizione del Censis l’aspetto fenomenologico è curato e ricco, manca questa volta la speranza. Non si intravede né nella solidità della tradizione né nelle forze che attraversano la modernità cercando di costruire contrappesi e nuove regole.
Persino il linguaggio è stato umiliato dalla modernità. «Gli italiani parlano sempre peggio, in privato e in pubblico: hanno imbarbarito la loro lingua nazionale e hanno adottato la tachigrafia di Whatsapp che nella smania del linguaggio presentista usa sigle e deforma pronomi». Non contenti De Rita e Galdo si incaricano di difendere dalla modernità anche il funzionamento del nostro cervello. «Nel Duemila eravamo capaci di prestare attenzione per 12 secondi consecutivi, oggi a stento riusciamo ad arrivare a 8. Siamo meno concentrati dei pesci rossi che arrivano a 9».
Sul lavoro poi piove. Gli autori raccontano come nella Silicon Valley «si è formata addirittura una nuova categoria di homeless, senzatetto invisibili e sparsi sul territorio, dormono in una macchina e sommano lavoretti che non bastano per permettersi un appartamento». E i lavoretti sono un piatto forte del pamphlet, «con il nuovo millennio ci siamo ritrovati a fare i conti non più con la difesa del lavoro ma con la sua sopravvivenza», il laburismo è stravolto dal presentismo.
Il caso che indigna di più gli autori è quello dei rider, «40 ordinazioni in tre ore e il rischio di finire sotto una macchina per l’asfalto bagnato» ma anche l’aumento di colf e badanti che ha spinto le donne a praticare mestieri che avevamo appaltato agli stranieri. E in questa difesa del lavoro gli autori arrivano a solidarizzare persino con i tassisti «le cui ragioni non sono infondate di fronte a colossi come Uber che sommano innovazione e deregulation». E quindi finiscono per incarnare «l’interesse generale del Paese».