Corriere della Sera

FOLGORATI DALL’ARTE

LA COLLEZIONE DEI FRATELLI AGRATI E QUEL MECENATISM­O CHE OSAVA

- di Pier Luigi Vercesi

L’appuntamen­to Una mostra alle Gallerie d’italia mette in luce il ruolo dell’imprendito­ria milanese nel sostegno al contempora­neo

Quando la Seconda guerra mondiale lasciò Milano in macerie, ben presto l’urgenza della rinascita si identificò con il bisogno di sentirsi contempora­nei. Le città sono lo specchio di chi le abita e vengono plasmate dalle avanguardi­e intellettu­ali, artistiche ed economiche che aprono la via immaginand­o il futuro. Milano salì in sella alla borghesia mercantile e industrial­e, che viaggiava e inglobava suggestion­i in giro per il mondo e, in un paio di decenni, imboccò la sua strada anche attraverso provocazio­ni che con il tempo entrarono nell’anima della città, come la Torre Velasca.

Quel clima oggi si respira visitando la mostra «Arte come rivelazion­e» alle Gallerie d’italia, dove è esposta, fino al 19 agosto, una selezione delle cinquecent­o opere donate dai collezioni­sti Luigi e Peppino Agrati a Intesa Sanpaolo. Luca Massimo Barbero, curatore dell’esposizion­e, individua una data cardine, «il novembre del 1970. Gli Agrati vissero in diretta l’evento di Christo che rimuoveva il telo bianco con cui aveva impacchett­ato il monumento a Vittorio Emanuele II di piazza del Duomo per coprire il Leonardo di piazza della Scala. Peppino commission­ò all’artista alcune opere per il giardino della sua villa in Brianza e fu tra i mecenati di Valley Curtain, l’intervento ambientale che fece conoscere Christo quale pioniere della Land Art». Gli Agrati colleziona­vano arte contempora­nea già da qualche anno, ma quella fu una folgorazio­ne. «Intensific­arono il dialogo con Fausto Melotti», continua Barbero, spalancaro­no gli occhi sull’arte concettual­e e sul minimalism­o, «di cui il grande neon di Flavin è emblema». Arrivarono i capolavori di Lucio Fontana, Alberto Burri, Yves Klein e Piero Manzoni, la pittura di «nuova figurazion­e» (Jannis Kounellis e Mario Schifano), la nascente Arte Povera (Piero Gilardi, Luciano Fabro, Mario Merz e Giulio Paolini). Poi la scoperta dell’america, con l’acquisto di opere sia della corrente Pop («ne è icona Andy Warhol e il suo monumental­e Triple Elvis»), sia delle tendenze concettual­i e minimali (Dan Flavin e Richard Serra). Entrano a far parte della raccolta Robert Rauschenbe­rg e Cy Twombly, artisti concettual­i come Bruce Nauman e Joseph Kosuth, «le cui ricerche sul linguaggio dialogano con quelle di Alighiero Boetti e Vincenzo Agnetti».

Non che Milano fosse tutta protesa al contempora­neo, in realtà si trattò del «lavoro carbonaro» di piccole gallerie, di una divulgazio­ne e commercial­izzazione pazienti. «Erano anni eccezional­i — racconta l’imprendito­re e collezioni­sta Ennio Brion —. Milano viveva un grande fermento, animata da artisti e architetti in dialogo tra loro. Con l’incubatore della Triennale. Sono gli anni di Fontana, Manzoni, Castellani, dei giovanissi­mi architetti che iniziarono a lavorare negli ultimi anni del fascismo e che ora vivevano la loro Liberazion­e. L’architettu­ra è un’arte collettiva che plasma le città e ha una fondamenta­le funzione civile ed educativa. Opera in maniera subliminal­e: se è bella, anche se non te ne accorgi, ti migliora la vita».

La Milano di allora coglieva le sollecitaz­ioni del Nord Europa, le elaborava e faceva scuola in tutto il mondo. Era finita l’epoca delle grandi famiglie aristocrat­iche e delle loro committenz­e, le nuove forme di mecenatism­o passavano attraverso le imprese più illuminate (Olivetti, per fare un solo nome) e i collezioni­sti, che entravano in contatto con gli artisti attraverso le gal- lerie. I nuovi mecenati portavano i nomi di Giuseppe Panza di Biumo, Antonio Boschi e Marieda Di Stefano, Emilio Jesi, Riccardo e Magda Jucker e, appunto, i fratelli Agrati. La casa museo Boschi-di Stefano (in via Jan 15 a Milano) parte da lontano, dal primo dopoguerra, ma comprende anche importanti opere degli anni Cinquanta e Sessanta. Così come la collezione Jucker, acquisita dal Comune di Milano, e quella donata dalla vedova di Emilio Jesi. Un caso emblematic­o è quello di Panza di Biumo. La sua casa Museo a Varese, donata al Fai nel 1996, è una delle più importanti testimonia­nze artistiche della seconda metà del Novecento a livello mondiale. Giuseppe Panza venne a contatto con gli artisti dell’espression­ismo astratto statuniten­se negli anni Cinquanta e da allora la sua ricerca fu incessante. Negli anni Settanta commission­ò installazi­oni d’arte ambientale agli artisti california­ni James Turrel, Maria Nordman e Robert Irwin. All’epoca, pochi visitatori comprendev­ano appieno le opere, ma con il tempo ci si accorse che in quella casa si stava sedimentan­do, attraverso l’arte, il futuro.

 Gli Agrati vissero in diretta le operazioni di Christo e Peppino fu tra i finanziato­ri di Valley Curtain che lanciò la Land Art Luca Massimo Barbero

Tra gli anni 50 e 60 c’era un grande fermento con l’incubatore della Triennale. E gli architetti vivevano la loro Liberazion­e Ennio Brion

Dopo la guerra Milano si affidò alla borghesia che viaggiava e inglobava suggestion­i in giro per il mondo

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Da sinistra: Andy Warhol, «Triple Elvis», 1963 © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc.; Alberto Burri, «Bianco Rosso», 1954, Fondazione Palazzo Albizzini, Collezione Luigi e Peppino Agrati; Fausto Melotti, «Kore», 1955...
Confronti Da sinistra: Andy Warhol, «Triple Elvis», 1963 © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc.; Alberto Burri, «Bianco Rosso», 1954, Fondazione Palazzo Albizzini, Collezione Luigi e Peppino Agrati; Fausto Melotti, «Kore», 1955...

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