Corriere della Sera

Conte, 50 anni di «Azzurro» «Se l’avessi cantata io nessuno la conoscereb­be»

- Laura Martellini

Cinquant’anni di Azzurro. «Un factotum dell’editore Leonardi la fece ascoltare a Celentano, che era inavvicina­bile. Si stava facendo la barba, e il suo intervento fu: “M’aspettavo che andasse su, invece va giù”». Sorride, Paolo Conte, nel ricordare un episodio legato alla sua canzone che ha dato il titolo a un doppio concerto alle Terme di Caracalla, a Roma.

Un live, ad apertura dell’estate del Teatro dell’opera, che l’altra sera ha visto il grande Paolo Conte, 81 anni

vecchio oggetto di una standing ovation da parte di un pubblico trasversal­e: anziani, giovani, anche giovanissi­mi. Entusiasti davanti ai virtuosism­i dell’orchestra per classici come Messico e Nuvole, Sudamerica, Gioco d’azzardo, Via con me. Il concerto finirà in un cd, dopo Zazzarazaz per i 40 anni di carriera.

Azzurro uscì nel ‘68, Maggio francese: «L’avevo scritta un anno prima — ricorda Conte —. I ragazzi della contestazi­one erano più giovani. Io già lavoravo in ufficio. Celentano era l'interprete ideale, se l’avessi cantata io, non la conoscereb­be nessuno. C’era chi voleva diventasse inno nazionale: da autore mi avrebbe fatto piacere, ma avrei detto no. Mai voluto lanciare messaggi con le canzoni. Sono bozzetti di vita».

L’aria è di chi sa scherzare con se stesso: «Vengo da una famiglia di notai. Sono stato avvocato civilista. Provo qualche nostalgia, nelle notti insonni ancora m’arrovello. È un bel successo, quando da legale regali la libertà. Dopo una canzone al massimo oscilli nell’aria. Nella vita ho lavorato tanto, mi sono appassiona­to tanto, ho scritto tanto. Di notte, nella solitudine e nell’oscurità. Giudice unico dei miei brani. Con i francesi li ho definiti confusion mentale fin de siècle. Sono soddisfatt­o, pur sentendomi un trifoglio in un campo di quadrifogl­i».

Paura, a 81 anni, della vecchiaia? «Sono del Capricorno, ho un rapporto teso con il tempo. Ma non è solo la gioventù la stagione migliore. Nutro speranze nella tecnologia: non nei cellulari, che non uso, ma nella medicina». L’italia? «Buona fortuna». Sanremo di Baglioni? «A vederlo tutto di seguito non ce l’ho fatta. Se avessi un brano giusto non lo porterei lì. Non amo il rischio, né le gare».

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In concerto
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