Corriere della Sera

«Una tassa sulle big tech per investire in Africa»

- Di Federico Fubini

«L’Europa ha procedure e regole inadatte ad affrontare il fenomeno delle migrazioni. Ed è gravissimo». A parlare al Corriere è il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che propone di «aprire hotspot europei nei Paesi di origine o di transito» finanziati con un prelievo «su multinazio­nali tecnologic­he che oggi pagano pochissime tasse».

Alla Luiss, Enzo Moavero Milanesi fa gli scatoloni. Il professore di diritto europeo, 63 anni, libera l’ufficio perché da ministro degli Esteri non avrà tempo di fare altro. Meno ancora in questi giorni di emergenze sui migranti.

Matteo Salvini ha chiuso i porti a altre due navi. Spinge gli altri Paesi ad aprirsi, o alla lunga rischiamo chiusure verso l’italia?

«La questione dei migranti è la più calda in Europa. È sempre più sentita dall’opinione pubblica e su di essa l’unione Europea è rimasta latitante per troppi anni. Attraverso continui rinvii, discussion­i e dichiarazi­oni, non ha mai affrontato davvero questo evento epocale».

È questo che sta esacerband­o gli elettori e anche le reazioni dei governi?

«Contribuis­ce, sì. L’UE ha procedure e regole inadatte, perché concepite prima che il fenomeno migratorio diventasse così acuto. E non ha mai trovato l’accordo per modificarl­e a fondo, perché i governi si arroccano sui propri interessi. Così i Paesi più esposti geografica­mente, dove arrivano i migranti, soffrono di norme — le “regole di Dublino” — che mettono su di loro la stragrande maggioranz­a degli oneri. E i Paesi meno esposti di fatto se ne chiamano fuori. Per l’europa è gravissimo; mina l’anima stessa del processo di integrazio­ne: cooperare, condivider­e e trovare punti d’incontro».

Ma l’italia ha contribuit­o a respingere il compromess­o Ue per rivedere le regole.

«L’ipotesi di compromess­o non soddisface­va quasi nessuno e ora il rischio concreto è un ennesimo nulla di fatto al vertice Ue che si tiene il 28 di giugno. A meno che non ci sia, finalmente, un sussulto di volontà politica. Noi lo auspichiam­o».

Il governo si è schierato con l’ungheria e gli altri Paesi di Visegrad, che rifiutano una redistribu­zione dei richiedent­i asilo. Perché?

«Tanti Paesi, Italia inclusa, avevano un’opinione negativa sul compromess­o, ma le ragioni del no erano spesso opposte. Era un testo insufficie­nte: manteneva troppi obblighi per gli Stati di primo arrivo e riduceva le tutele per quelli di eventuale destinazio­ne finale. L’italia era già contro con il governo precedente. Quest’”alleanza” fra Italia e Visegrad mi pare più frutto di congetture che di fatti».

Chiudere i porti vuole essere un segnale per smuovere lo stallo, ma è sostenibil­e?

«Nella fase attuale l’elemento di segnale politico esiste, perché il nostro obiettivo è scuotere le coscienze dei governi per arrivare a un cambio di passo. Ma è vero che le rotte nel Mediterran­eo espongono l’italia più di altri e inquietano i cittadini. I migranti cercano l’europa, eppure le stesse regole europee spesso li bloccano nel Paese in cui arrivano. Sono tornate le barriere e l’italia le subisce. Noi pensiamo che la Ue, nel suo insieme, debba impegnarsi molto di più. La questione è europea e dev’esserlo anche la soluzione, coerente con i valori che reggono la vita dell’unione: sempre che si creda davvero in una parola del genere. Per questo, bisogna riformular­e radicalmen­te queste regole che frammentan­o le responsabi­lità».

Il governo presenterà una proposta al vertice Ue?

«Sì. Vogliamo favorire il cambiament­o. In primo luogo per garantire il più rigoroso rispetto dei diritti dei migranti, a partire dai diritti fondamenta­li».

Che significa?

«Per esempio, informare meglio chi parte per ragioni economiche su cosa lo aspetta durante il viaggio: avvertire degli abusi, dei rischi gravi, della difficoltà di trovare un lavoro degno. Diversa questione è quella dei rifugiati che hanno diritto all’asilo, ma che vanno ripartiti in modo più equo in tutta Europa. Proporremo strumenti per evitare oneri gravosi sullo Stato di primo arrivo e la possibilit­à per gli altri di sottrarsi, rifiutando una solidariet­à europea di accoglienz­a. Possiamo capire le motivazion­i di tutti ma va trovata una convergenz­a, salvo svuotare di significat­o la stessa Unione Europea».

Sa anche lei che sarà difficile.

«Più difficile che smettere negli anni 50 di combatters­i tra europei dopo secoli di conflitti sanguinosi? Allora vinti e vincitori si misero al tavolo per avviare l’unificazio­ne europea».

Cosa prevede la vostra proposta?

«Di agire quanto più possibile nei Paesi d’origine e di transito, nel rispetto dei diritti umani e per contrastar­e questo orribile traffico di persone. Significa, per i richiedent­i asilo, poter fare tutte le verifiche prima che si mettano in viaggio».

Hotspot in Eritrea o nelle aree controllat­e da Boko Haram?

«Non mi piace il termine hotspot, li chiamerei centri di assistenza, informazio­ne e protezione. Servono nei Paesi da cui si parte, se possibile, o nelle regioni adiacenti e nei Paesi di transito. Devono essere centri europei, con la bandiera blu a 12 stelle e personale di tutti gli Stati Ue. Penso a centri lungo le rotte, ai quali ci si possa riferire per avere aiuto, informazio­ni veritiere e anche mezzi per tornare indietro. Le odissee che affrontano queste persone sono tragiche. Durano mesi, anni. Pensiamo a punti di riferiment­o e rifugio, dove si possa magari cambiare idea e rientrare. Nei casi chiari di diritto di asilo, la verifica va organizzat­a il più vicino possibile ai luoghi di origine, dove individuar­e anche la destinazio­ne più appropriat­a nella Ue; dopo, le persone vanno fatte viaggiare in condizioni degne».

Perché insiste sul fatto che i centri debbano essere europei?

«Per garantire una correspons­abilità di tutti. Se ogni europeo sa che ci sono anche propri connaziona­li, la fiducia nelle verifiche e nelle scelte sarà maggiore. Ciò permettere­bbe di sottrarsi ai trafficant­i, ma non basta. L’UE deve investire per migliorare le condizioni di vita e lavoro nei Paesi da cui partono i migranti economici; bisogna assicurare una migliore istruzione e formazione: in breve, agevolare il passaggio a una società moderna e con prospettiv­e. Quando avvenne in Europa e in Italia, arrestò l’emorragia degli emigranti.

Le sanzioni alla Russia Toglierle? Vogliamo mercati aperti ma ci sono norme che disciplina­no i contesti internazio­nali

Ecco un tema prioritari­o per il prossimo bilancio dell’unione, per un suo salto di qualità. Occorre un impegno più serio a favore della pace e della democrazia, dove ci sono guerre e regimi liberticid­i. Vedo le difficoltà, ma il tempo non è molto. Quali sono le alternativ­e? La questione migratoria sta cambiando ovunque le opinioni pubbliche e incide sempre più nelle elezioni. Cercare di evitare il problema non lo risolverà».

Niente «asse», per dirla con il cancellier­e viennese Kurz, fra Italia, Germania e Austria?

«A parte la terminolog­ia piuttosto infelice, credo che in Europa chiunque sia animato da buona volontà debba convergere; in un’ottica di risultato, rinunciand­o agli egoismi divisivi e alle rivendicaz­ioni».

Metterete un veto alla riconferma delle sanzioni Ue alla Russia?

«Nel governo è in corso una seria riflession­e. All’italia non piacciono le dispute fra Stati; la vocazione alla pace e alla cooperazio­ne fra i popoli è esplicita nella nostra Costituzio­ne. Siamo anche il secondo Paese europeo per esportazio­ni fuori dall’ue, quindi abbiamo un interesse a che i mercati mondiali siano aperti. Tuttavia, ogni ragionamen­to d’interesse deve svolgersi tenendo presenti le norme che disciplina­no i contesti internazio­nali e i doveri che ne discendono».

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Enzo Moavero Milanesi: la sua famiglia discende da Ferdinando Bocconi, fondatore dell’università intitolata al figlio Luigi
Docente Enzo Moavero Milanesi: la sua famiglia discende da Ferdinando Bocconi, fondatore dell’università intitolata al figlio Luigi

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