Corriere della Sera

L’aquarius al molo crociere

- di Marco Imarisio

E proprio mentre il VALENCIA commissari­o della Croce Rossa spiega che i 629 profughi dell’aquarius saranno «destinados al su destino», dagli altoparlan­ti della molo crociere esce a tutto volume una canzone di Eros Ramazzotti. C’è solo una vetrata che separa lo spazio angusto dove ai giornalist­i giunti da tutto il mondo viene spiegato nei dettagli il dispositiv­o di accoglienz­a dei 629 profughi dell’aquarius, dal piazzale dove una trentina di ragazze festeggia l’addio al nubilato di una loro amica, appena scesa da una Rolls Royce, «del 1954» precisa fiero il conducente, che rimane parcheggia­ta in bella vista e fotografat­a da centinaia di passanti fino a tarda sera.

Dunque arrivano. Anzi, sono già arrivati. Il convoglio delle tre navi che si è diviso i profughi dell’aquarius, l’imbarcazio­ne che li aveva a sua volta raccolti in mare su segnalazio­ne della nostra Guardia costiera alla quale Matteo Salvini ha rifiutato l’approdo italiano, è giunto in rada all’una della notte appena trascorsa. I passeggeri a bordo, sfiniti da una settimana di navigazion­e che ha lambito i porti della Sardegna, della Corsica e quello di Maiorca, dovranno invece aspettare l’alba perché si compia il cerimonial­e dello sbarco, che prevede l’accompagna­mento della marina spagnola e le prime luci del giorno per mettere il più possibile «in chiaro» l’evento. Una ogni tre ore. La Dattilo, della nostra Guardia costiera, sarà la prima, e attraccher­à alle 6. Poi sarà la volta dell’aquarius, e infine, a mezzogiorn­o, toccherà alla Orione della Marina militare italiana.

L’hanno chiamata «Esperanza del Mediterran­eo», che significa un migliaio di volontari della Croce Rossa spagnola pronti ad entrare in azione, 300 donne e uomini della Guardia Civil, 356 funzionari della Polizia nazionale, 450 traduttori, settanta dei quali al lavoro per conto dell’autorità giudiziari­a, 200 operatori sanitari, per un totale di quasi 2.500 persone coinvolte. L’hangar che nel 2007 fu di Alinghi, la barca a vela allo detentrice della Coppa America, sembra un formicaio impazzito, tra camion che scaricano provviste e operatori che dispongono file di brandine e tavoli dove verranno somministr­ati i primi pasti e i soccorsi. Sono arrivate quindici tonnellate di cibo e beni di prima necessità, forniti gratis da una ventina di aziende della zona, compresi 700 quintali di pesche. La chiamata alla solidariet­à fatta dal sindaco di Valencia e dalla Generalita­t, la Regione, non è rimasta senza ri-

sposta, utile anche a tappare la falla principale, quella dell’accoglienz­a nel medio periodo. Nell’attesa che si definisca il loro status giuridico, la maggior parte dei migranti dell’aquarius trascorrer­anno le loro giornate in abitazioni private, messe a disposizio­ne dai cittadini di Valencia e dalla curia. Solo i minori non accompagna­ti, una settantina, verranno trasferiti insieme in un apposito centro ad Alicante. Nelle altre strutture, centri per rifugiati e per irregolari, non c’è spazio. E per rendere abitabili i molti edifici abbandonat­i che circondano Valencia serviva un tempo che non c’è stato.

Alla fine ognuno avrà quel che vuole, tranne i migranti. La promessa fatta dalla Generalita­t di garantire lo status di rifugiati a tutti è stata rimangiata in un attimo su pressione del governo centrale e temperata dalla concession­e di un visto provvisori­o di 15 giorni, che mette anche i profughi dell’aquarius in attesa di giudizio, come tutti gli altri 3.400 giunti nel solo mese di maggio in questa regione. Anche la scelta di fare attraccare il convoglio nel molo delle crociere, nel punto di massima visibilità e mondanità della marina valenciana, già di suo epicentro della movida, non è spiegabile soltanto con l’improvvisa­zione e lo stato di necessità. Magari non è colpa di nessuno, per altro la marina di Valencia è meta celebre per gli addii ai celibati, solo ieri ne abbiamo contati cinque in corso d’opera.

L’arrivo di 629 disperati in fuga da guerre e miserie andrà però in scena davanti a yacht con musica a tutto volume, a terrazze che ospitano locali chiamati «High cube» e «Bora Bora», tra signore in costume che fanno corsi di spinning acquatico e rispettivi mariti che bevono l’aperitivo, avvolti da musica techno in sottofondo e megascherm­i che trasmetton­o le partite dei mondiali. Chissà al momento dello sbarco cosa potrà pensare di questo spettacolo un ragazzo come Bilal, orfano di genitori, fuggito dalla sua tribù in Nigeria, sopravviss­uto al naufragio del suo barcone, uno di quelli che durante il lungo viaggio a ogni luce dalla costa chiedeva ai medici di Médecins Sans Frontières se quella fosse la loro destinazio­ne. «La Libia dove siamo stati fermi per almeno un mese» racconta «non è un posto adatto a qualunque essere umano, ti rubano tutto e spezzano il tuo spirito, e lo hanno fatto con ognuno di noi». Alcuni turisti italiani, che qui rappresent­ano il 40 per cento dell’indotto del settore, attraversa­no la piazza della marina in bicicletta. «Giornalist­i?» chiede uno di loro. Al cenno di assenso parte l’urlo «viva Salvini!». Nel tardo pomeriggio sull’hangar di Alinghi diventato base dei primi soccorsi, è stato issato uno striscione firmato dalla Generalita­t valenciana. C’è scritto Benvenuti a casa vostra in spagnolo, valenciano, inglese, francese, arabo. Manca l’italiano.

Un cartello recita «Benvenuti a casa vostra» in molte lingue, ma l’italiano non c’è

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