Corriere della Sera

UN PAESE LONGEVO MA NON PER VECCHI

- di Marco Trabucchi*

Il futuro degli anziani è al centro di dibattiti e studi, nella ricerca di un’organizzaz­ione che rispetti la dignità e la libertà delle persone anche in età molto avanzata, attraverso interventi mirati al bisogno e non generici.

Vi è quasi una forma di pudore ad ammettere che chi ha perso la capacità di vivere al proprio domicilio deve essere assistito in strutture residenzia­li. È banale ripeterlo: la casa è e resta il luogo preferito per la vita dei vecchi, però si devono guardare con realismo gli aspetti problemati­ci: la crisi del nucleo famigliare di supporto, la solitudine, l’esigenza di atti tecnici di cura, la sorveglian­za continua da parte di personale qualificat­o. Se questo è lo scenario, la rete delle residenze deve essere analizzata partendo da alcune consideraz­ioni.

Il sistema nel suo insieme è sottofinan­ziato. Sarebbe necessario un piano nazionale di grande portata, che faccia sorgere, soprattutt­o nel Sud, nuovi adeguati servizi residenzia­li. Inoltre è doveroso garantire la copertura del 50 per cento dei costi delle rette; è un atto di legge, che però non è sempre rispettato. Recentemen­te in una grande città del Nord è stato valutato che per più di un terzo degli aventi diritto non viene pagata la quota sanitaria, che quindi ricade sul singolo e sulle famiglie, spesso in gravi difficoltà (una tariffa media di 100 euro al giorno diviene pesantissi­ma se dura nel tempo, come è peraltro auspicabil­e… perché significa che la persona assistita continua a vivere).

In questi anni si è assistito alla crescita di grandi catene di residenze gestite da privati. Si tratta di un’importante integrazio­ne rispetto alle strutture gestite da Fondazioni o direttamen­te dalle Regioni. Si dovrebbero però impostare modelli programmat­ori in modo da rispondere alle reali esigenze dei territori, evitando, ove possibile, squilibri, sia per eccesso che per difetto. Inoltre, il controllo pubblico deve essere attento non solo agli aspetti formali e procedural­i, ma guardare alla qualità della vita degli ospiti, spesso precaria. In Italia la residenzia­lità è ancora marginale rispetto a studi e ricerche, nonché alla formazione degli operatori.

Quest’ultimo aspetto è lasciato alla spontaneit­à, mentre lavorare in una residenza per anziani non è certo più facile che impegnarsi profession­almente in un ospedale.

È un’area che dovrà essere sviluppata, anche attraverso l’auspicabil­e aggregazio­ne volontaria di alcuni gestori di residenze.

*Associazio­ne Italiana di Psicogeria­tria

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