Difendersi (davvero) dai raggi ultravioletti
Rischio melanoma È tipico delle persone che stanno chiuse in ufficio e d’estate, per 2-3 settimane, si espongono al sole in modo sconsiderato senza proteggersi
Lavori all’aperto Gli altri tumori della pelle, basalioma e spinalioma, colpiscono di più chi ha un’esposizione solare cronica, come marinai e agricoltori
L’avvicinarsi dell’estate ripropone i dubbi su come proteggersi da un’eccessiva esposizione solare. Occorre scegliere i prodotti giusti e applicarli nel modo corretto, oltre ad essere informati sui rischi che si corrono: tumori della pelle, in aumento, inclusi. L’abbronzatura non è vietata, ma segue regole precise
SPF 15, 30, 50+. Latte, spray, emulsione, fluido, olio. Protezione UVA. Water resistant. Filtro chimico o filtro fisico. Possibile che per comprare le creme solari occorra una laurea? E, titolo accademico a parte, siamo sicuri che ci proteggano, soprattutto dal rischio di tumori alla pelle? Partiamo dall’inizio.
A che cosa servono le creme solari?
I prodotti anti-sole difendono la cute dai raggi ultravioletti, che sono dannosi se assorbiti in quantità eccessiva.
I raggi da cui difendersi sono di due tipi: A e B. Gli ultravioletti A (UVA) hanno la capacità di penetrare in profondità, modificando la struttura delle cellule e provocando invecchiamento cutaneo, mentre quelli B (UVB) colpiscono la superficie dell’epidermide e sono responsabili di irritazione e bruciature.
Da che cosa dobbiamo proteggerci?
Da eritemi e ustioni, ma anche da macchie e tumori della pelle. «L’esposizione intensa alle radiazioni ultraviolette rappresenta il fattore di rischio principale per l’insorgenza di melanoma, basalioma e spinalioma — spiega Paolo Ascierto, direttore del- Per proteggere la pelle in modo adeguato è necessario applicare filtri solari anti UVA e anti UVB. I raggi ultravioletti di tipo A penetrano in profondità e possono modificare la struttura delle cellule, quelli di tipo B agiscono sui primi strati dell’epidermide l’unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli —, con alcune differenze: il melanoma è tipico delle persone che stanno chiuse in ufficio e d’estate, per 2-3 settimane, si mettono sconsideratamente al sole. Basalioma e spinalioma colpiscono invece di più chi subisce l’esposizione cronica, come marinai e agricoltori».
Ma per salvarsi dal cancro non basta spalmarsi con il fattore 50+. «Le creme non sono un talismano. Sono pensate per tutelare la pelle dalle ustioni provocate dai raggi ultravioletti e possono offrire una prevenzione contro i tumori, ma soltanto se scelte e usate bene — afferma Piergiacomo Calzavara Pinton, presidente della Società italiana di Dermatologia e Venereologia (SIDEMAST) — e se associate a comportamenti che permettono di limitare l’esposizione ai raggi solari. La gente utilizza sempre di più prodotti protettivi, ma i tumori della pelle sono in costante aumento». Il sole poi è in buona compagnia sul banco degli imputati. Secondo l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione (IARC), il ricorso alle lampade abbronzanti al di sotto dei 30 anni fa aumentare il rischio di melanoma del 75 per cento.
Come è indicato il livello di protezione sui flaconi?
L’indice SPF (Sun Protection Factor, fattore di protezione solare, da 6 a 50+) misura la capacità di filtrare i raggi UVB, mentre il valore della copertura dai raggi UVA non è indicato con la stessa chiarezza: può essere descritto come «protezione UVA molto alta» o con la sigla PPD, ovvero Persistent Pigment Darkening, pigmentazione persistente. In altri casi sulla confezione viene riportata la dicitura UVA all’interno di un cerchio: secondo la normativa europea, ciò significa che la protezione dai raggi UVA è almeno un terzo dell’spf indicato.
Ma che cosa vuol dire comprare una crema con filtro 50+? «Lo schermo nei fatti è più basso di quanto si pensi — sottolinea Calzavara Pinton —, perché nessuno applica il prodotto nella quantità in cui è stato testato per stabilire il fattore di protezione: 2 milligrammi per centimetro quadrato di pelle, circa 40 grammi in totale per un adulto. Quindi un flacone di medie dimensioni sarebbe sufficiente solo per una persona ogni giorno. Soltanto se utilizzata in questo modo, la 50+ offre davvero la copertura promessa, lasciando passare meno del 2 per cento dei raggi UVB. Per come vengono mediamente usati, gli anti-sole, inclusi i 50+, non superano, come SPF, il valore reale di 4-6. Un altro problema è che anche se applico una crema con buona protezione dai raggi B ma senza (o con scarsa) copertura dai raggi UVA e trascorro più tempo al sole, pur non ustionandomi, assorbo un quantitativo gigantesco di ultravioletti di tipo A, con un danno ossidativo che le mie cellule non riescono a riparare. È importante sapere che in natura i raggi UVA sono 20 volte preponderanti rispetto a quelli di tipo B».
Di che cos’altro bisogna accertarsi nella scelta?
«È molto importante la fotostabilità, cioè la capacità dello schermo di resistere all’esposizione solare. Purtroppo però non è indicata in etichetta. Esistono filtri elevati che con l’esposizione al sole si degradano velocemente. «Il regolamento europeo di produzione dei cosmetici è molto restrittivo e dunque ci si può perlopiù fidare dei prodotti venduti nelle farmacie — dice Calzavara Pinton —. Più attenzione va posta nelle merci vendute nei supermercati e altri negozi, perché la sfida al ribasso dei prezzi può portare a usare molecole economiche, ma poco fotostabili. Que- sto non significa necessariamente che prodotti buoni equivale a costosi». Però è bene tenere presente che basso prezzo può anche significare protezione non adeguata.
Qual è la differenza tra filtri chimici e fisici?
«In Europa il regolamento del 2009 sui cosmetici, più volte aggiornato negli anni successivi, autorizza una trentina di filtri, quasi tutti chimici. Pochi i fisici: i principali sono il biossido di titanio e l’ossido di zinco, in forma classica o in nanoparticelle — chiarisce Alessandra Roncaglioni del Laboratorio di Chimica e Tossicologia dell’ambiente, Istituto Mario Negri, Milano —. I filtri chimici e fisici non sono alternativi e vengono utilizzati spesso in abbinamento: i primi assorbono determinate lunghezze d’onda delle radiazioni, i secondi (consentiti fino al 25 per cento della quantità totale) formano una barriera riflettente. I filtri fisici in alcuni casi sono presenti nella forma di nanoparticelle (ed è indicato in etichetta), sviluppata per evitare l’effetto bianco sulla pelle. Comunque gli schermi autorizzati in Europa sono stati valutati da esperti e considerati totalmente sicuri per la salute, sulla base delle conoscenze attuali: oltre a quelli approvati, ce ne sono molti altri che sono stati invece vietati per il livello di tossicità, risultato oltre i limiti ammessi».
I filtri di nuova generazione hanno nomi precisi. «Alcuni grandi marchi di cosmetica hanno al proprio interno laboratori che si occupano dei test sulla sicurezza — aggiunge Emilio Benfenati, a capo del Laboratorio di Chimica e Tossicologia dell’ambiente, Istituto Mario Negri, Milano —, dunque possono permettersi di sperimentare nuovi ingredienti, con caratteristiche di purezza e qualità migliori».
Un aspetto importante riguarda proprio la classificazione dei prodotti anti-sole: in Europa sono cosmetici, mentre negli Usa fanno parte dei dispositivi medici e quindi sono sottoposti a leggi più restrittive.
«Quello solare è un prodotto borderline — ammette Roncaglioni —: certamente classificarlo come cosmetico consente una maggiore libertà di manovra nella ricerca e nell’innovazione».