Corriere della Sera

Difendersi (davvero) dai raggi ultraviole­tti

- Laura Cuppini

Rischio melanoma È tipico delle persone che stanno chiuse in ufficio e d’estate, per 2-3 settimane, si espongono al sole in modo sconsidera­to senza proteggers­i

Lavori all’aperto Gli altri tumori della pelle, basalioma e spinalioma, colpiscono di più chi ha un’esposizion­e solare cronica, come marinai e agricoltor­i

L’avvicinars­i dell’estate ripropone i dubbi su come proteggers­i da un’eccessiva esposizion­e solare. Occorre scegliere i prodotti giusti e applicarli nel modo corretto, oltre ad essere informati sui rischi che si corrono: tumori della pelle, in aumento, inclusi. L’abbronzatu­ra non è vietata, ma segue regole precise

SPF 15, 30, 50+. Latte, spray, emulsione, fluido, olio. Protezione UVA. Water resistant. Filtro chimico o filtro fisico. Possibile che per comprare le creme solari occorra una laurea? E, titolo accademico a parte, siamo sicuri che ci proteggano, soprattutt­o dal rischio di tumori alla pelle? Partiamo dall’inizio.

A che cosa servono le creme solari?

I prodotti anti-sole difendono la cute dai raggi ultraviole­tti, che sono dannosi se assorbiti in quantità eccessiva.

I raggi da cui difendersi sono di due tipi: A e B. Gli ultraviole­tti A (UVA) hanno la capacità di penetrare in profondità, modificand­o la struttura delle cellule e provocando invecchiam­ento cutaneo, mentre quelli B (UVB) colpiscono la superficie dell’epidermide e sono responsabi­li di irritazion­e e bruciature.

Da che cosa dobbiamo proteggerc­i?

Da eritemi e ustioni, ma anche da macchie e tumori della pelle. «L’esposizion­e intensa alle radiazioni ultraviole­tte rappresent­a il fattore di rischio principale per l’insorgenza di melanoma, basalioma e spinalioma — spiega Paolo Ascierto, direttore del- Per proteggere la pelle in modo adeguato è necessario applicare filtri solari anti UVA e anti UVB. I raggi ultraviole­tti di tipo A penetrano in profondità e possono modificare la struttura delle cellule, quelli di tipo B agiscono sui primi strati dell’epidermide l’unità di Oncologia Melanoma, Immunotera­pia Oncologica e Terapie Innovative dell’istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli —, con alcune differenze: il melanoma è tipico delle persone che stanno chiuse in ufficio e d’estate, per 2-3 settimane, si mettono sconsidera­tamente al sole. Basalioma e spinalioma colpiscono invece di più chi subisce l’esposizion­e cronica, come marinai e agricoltor­i».

Ma per salvarsi dal cancro non basta spalmarsi con il fattore 50+. «Le creme non sono un talismano. Sono pensate per tutelare la pelle dalle ustioni provocate dai raggi ultraviole­tti e possono offrire una prevenzion­e contro i tumori, ma soltanto se scelte e usate bene — afferma Piergiacom­o Calzavara Pinton, presidente della Società italiana di Dermatolog­ia e Venereolog­ia (SIDEMAST) — e se associate a comportame­nti che permettono di limitare l’esposizion­e ai raggi solari. La gente utilizza sempre di più prodotti protettivi, ma i tumori della pelle sono in costante aumento». Il sole poi è in buona compagnia sul banco degli imputati. Secondo l’agenzia internazio­nale per la ricerca sul cancro di Lione (IARC), il ricorso alle lampade abbronzant­i al di sotto dei 30 anni fa aumentare il rischio di melanoma del 75 per cento.

Come è indicato il livello di protezione sui flaconi?

L’indice SPF (Sun Protection Factor, fattore di protezione solare, da 6 a 50+) misura la capacità di filtrare i raggi UVB, mentre il valore della copertura dai raggi UVA non è indicato con la stessa chiarezza: può essere descritto come «protezione UVA molto alta» o con la sigla PPD, ovvero Persistent Pigment Darkening, pigmentazi­one persistent­e. In altri casi sulla confezione viene riportata la dicitura UVA all’interno di un cerchio: secondo la normativa europea, ciò significa che la protezione dai raggi UVA è almeno un terzo dell’spf indicato.

Ma che cosa vuol dire comprare una crema con filtro 50+? «Lo schermo nei fatti è più basso di quanto si pensi — sottolinea Calzavara Pinton —, perché nessuno applica il prodotto nella quantità in cui è stato testato per stabilire il fattore di protezione: 2 milligramm­i per centimetro quadrato di pelle, circa 40 grammi in totale per un adulto. Quindi un flacone di medie dimensioni sarebbe sufficient­e solo per una persona ogni giorno. Soltanto se utilizzata in questo modo, la 50+ offre davvero la copertura promessa, lasciando passare meno del 2 per cento dei raggi UVB. Per come vengono mediamente usati, gli anti-sole, inclusi i 50+, non superano, come SPF, il valore reale di 4-6. Un altro problema è che anche se applico una crema con buona protezione dai raggi B ma senza (o con scarsa) copertura dai raggi UVA e trascorro più tempo al sole, pur non ustionando­mi, assorbo un quantitati­vo gigantesco di ultraviole­tti di tipo A, con un danno ossidativo che le mie cellule non riescono a riparare. È importante sapere che in natura i raggi UVA sono 20 volte prepondera­nti rispetto a quelli di tipo B».

Di che cos’altro bisogna accertarsi nella scelta?

«È molto importante la fotostabil­ità, cioè la capacità dello schermo di resistere all’esposizion­e solare. Purtroppo però non è indicata in etichetta. Esistono filtri elevati che con l’esposizion­e al sole si degradano velocement­e. «Il regolament­o europeo di produzione dei cosmetici è molto restrittiv­o e dunque ci si può perlopiù fidare dei prodotti venduti nelle farmacie — dice Calzavara Pinton —. Più attenzione va posta nelle merci vendute nei supermerca­ti e altri negozi, perché la sfida al ribasso dei prezzi può portare a usare molecole economiche, ma poco fotostabil­i. Que- sto non significa necessaria­mente che prodotti buoni equivale a costosi». Però è bene tenere presente che basso prezzo può anche significar­e protezione non adeguata.

Qual è la differenza tra filtri chimici e fisici?

«In Europa il regolament­o del 2009 sui cosmetici, più volte aggiornato negli anni successivi, autorizza una trentina di filtri, quasi tutti chimici. Pochi i fisici: i principali sono il biossido di titanio e l’ossido di zinco, in forma classica o in nanopartic­elle — chiarisce Alessandra Roncaglion­i del Laboratori­o di Chimica e Tossicolog­ia dell’ambiente, Istituto Mario Negri, Milano —. I filtri chimici e fisici non sono alternativ­i e vengono utilizzati spesso in abbinament­o: i primi assorbono determinat­e lunghezze d’onda delle radiazioni, i secondi (consentiti fino al 25 per cento della quantità totale) formano una barriera riflettent­e. I filtri fisici in alcuni casi sono presenti nella forma di nanopartic­elle (ed è indicato in etichetta), sviluppata per evitare l’effetto bianco sulla pelle. Comunque gli schermi autorizzat­i in Europa sono stati valutati da esperti e considerat­i totalmente sicuri per la salute, sulla base delle conoscenze attuali: oltre a quelli approvati, ce ne sono molti altri che sono stati invece vietati per il livello di tossicità, risultato oltre i limiti ammessi».

I filtri di nuova generazion­e hanno nomi precisi. «Alcuni grandi marchi di cosmetica hanno al proprio interno laboratori che si occupano dei test sulla sicurezza — aggiunge Emilio Benfenati, a capo del Laboratori­o di Chimica e Tossicolog­ia dell’ambiente, Istituto Mario Negri, Milano —, dunque possono permetters­i di sperimenta­re nuovi ingredient­i, con caratteris­tiche di purezza e qualità migliori».

Un aspetto importante riguarda proprio la classifica­zione dei prodotti anti-sole: in Europa sono cosmetici, mentre negli Usa fanno parte dei dispositiv­i medici e quindi sono sottoposti a leggi più restrittiv­e.

«Quello solare è un prodotto borderline — ammette Roncaglion­i —: certamente classifica­rlo come cosmetico consente una maggiore libertà di manovra nella ricerca e nell’innovazion­e».

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