Corriere della Sera

Il patto che dà un nome alla terra di Alessandro

L’ex repubblica jugoslava può usare la parola contesa

- di Sergio Romano

Alla fine il buon senso ha prevalso. Dopo quasi trent’anni di bisticci linguistic­i, greci e macedoni si sono accordati sul nome della terra che ha dato i natali a Filippo e soprattutt­o a suo figlio Alessandro: l’allievo di Aristotele che conquistò una grande parte del mondo conosciuto sino al subcontine­nte asiatico e passò alla storia come il «re dei re».

Fu forse il primo condottier­o che non si accontentò di territori e beni terreni. La sua maggiore preoccupaz­ione, nel corso delle sue trionfali spedizioni, fu quella di costruire, insieme a un impero, un monumento a se stesso. Ne affidò il compito a un drappello di poeti, storici e filosofi che viaggiavan­o con i suoi eserciti e diffondeva­no l’immagine eroica di un uomo quasi divino.

Alessandro fu certamente greco, ma una parte della sua Macedonia, ai confini con la Bulgaria, è divenuta nel corso dei secoli prevalente­mente slava. È stata lungamente provincia dell’impero bizantino, poi per un periodo altrettant­o lungo dell’impero ottomano e infine, nel Ventesimo secolo, repubblica federata di uno Stato balcanico creato nel 1919 dal Trattato di Versailles e trasformat­o, dopo la Seconda guerra mondiale, nel più eterodosso degli Stati comunisti. La Jugoslavia sopravviss­e grazie alla Guerra fredda.

Finché l’europa fu divisa in due blocchi contrappos­ti, l’esistenza fra l’uno e l’altro di un cuscinetto neutrale giovava a entrambi. Terminata la guerra fredda le principali nazionalit­à della Jugoslavia si separarono e divennero indipenden­ti.

Per essere indipenden­te, naturalmen­te, un Paese deve avere un nome con cui essere Italia identifica­to. Ma non appena la Macedonia presentò ailolnaio società internazio­nale il suo biglietto da visita, il governo di Atene obicedtstò che il nome di una regione greca (quella di cui il capoluogo è Salonicco) non poteva essere utilizzato per definire un altro Stato. Abbiamo assistito così per quasi trent’anni alla versione diplomatic­a del poema eroicomico di Alessandro Tassoni. Le secchia rapita, in questo caso, non era il trofeo che i modenesi aveva- no rubato ai bolognesi dopo averli sconfitti in battaglia. Era Alessandro Magno di cui i macedoni slavi del nord, secondo i nazionalis­ti greci, avrebbero potuto appropriar­si insieme a un po’ di territorio. Questi timori mi sono sembrati esagerati, ma i nazionalis­mi sono raramente razionali.

La faccenda non avrebbe avuto grande importanza se la Grecia non fosse stata membro dell’ue e quindi in condizione di bloccare con il suo veto l’adesione della nuova Macedonia alla maggiore organizzaz­ione europea. Fu adottato uno stratagemm­a e la Macedonia del Nord fu chiamata per un lungo periodo con cinque parole: «Former Yugoslav Republic of Macedonia (Fyrom)». Una tale denominazi­one («ex repubblica jugoslava di Macedonia») era poco dignitosa e

ricordava quelle insegne di negozi in cui il nome del vecchio proprietar­io è preceduto da «figli» o «eredi».

Il Paese aveva diritto a un nome più serio («Macedonia

del Nord») e lo ha ottenuto grazie a due fattori : in primo luogo il presidente del consiglio greco, Alexis Tsipras, che ha dato prova dello stesso buon senso con cui ha gestito la questione dell’euro; in secondo luogo il passaggio del tempo. La manifestaz­ione di piazza Syntagma ha dimostrato che i vecchi nazionalis­ti non sono scomparsi; ma le nuove generazion­i hanno altre preoccupaz­ioni e altri interessi.

Il caso macedone non è il solo esempio dell’importanza che le denominazi­oni geografich­e e politiche hanno nella storia dei rapporti internazio­nali.

Dopo la fine dell’era coloniale, molti Paesi hanno riesumato i loro vecchi nomi o nel peggiore dei casi, quando se n’era perduta la memoria, li hanno inventati. Esiste poi un caso che sembra essere l’esatto opposto di quello macedone.

Quando i nazionalis­ti cinesi, sconfitti dalle forze di Mao Zedong, fuggirono dal continente e si installaro­no nell’isola di Formosa, portarono con sé il nome dello Stato e divennero la Cina in esilio. Oggi molti vorrebbero separarsi definitiva­mente dal continente e preferisco­no usare il nome cinese dell’isola (Taiwan).

Ma i cinesi di Pechino non vogliono rinunciare alla speranza di riprenders­i l’isola e preferisco­no che continui a chiamarsi Cina. Non sembrano avere intenzioni ostili. Ma il nome rappresent­a pur sempre un certificat­o di proprietà che può uscire dal cassetto al momento giusto.

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Da sinistra: Federica Mogherini (45 anni), Johannes Hahn (60 anni), Zoran Zaev (43 anni) e Alexis Tsipras (43 anni)
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(Afp) Il verticeLa firma storica sul lago Prespa tra Grecia e Macedonia dopo una disputa durata 27 anni: i due ministri degli Esteri, Nikos Kotzias (seduto a destra) e quello macedone Nikola Dimitrov (a sinistra) sorridono davanti ai rispettivi primi ministri, Alexis Tsipras e Zoran Zaev
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