Corriere della Sera

Migranti, la nuova rotta

Nel 2018 gli sbarchi calano in Italia, crescono in Spagna. Conte da Merkel

- (Afp)

In un anno gli arrivi in Italia sono diminuiti dell’82%, in Spagna sono raddoppiat­i e in Grecia sono saliti del 40%. Sono cambiate le rotte percorse dai profughi. Oggi il premier Conte incontrerà la cancellier­a tedesca Angela Merkel. E ieri la nave Aquarius è arrivata a Valencia. Salvini: la Spagna prenda 66 mila migranti. Renzi lo accusa: bullo.

Il fragore dei rintocchi contrasta con il silenzio quasi religioso che dall’altra parte della strada accompagna l’arrivo dell’aquarius e delle altre due navi nostrane che la accompagna­no dopo essersi divisi i 629 migranti, ma alla conta ufficiale si scoprirà che in realtà erano 630. Come se dopo il rumore di fondo, tutto questo urlare e questo lacerarsi, fosse giunto il momento di lasciare spazio ai fatti, alla vita vera, che parlano da soli. La prima è la Dattilo, che entra dalla diga foranea compiendo una lunga manovra a semicerchi­o per affiancars­i al molo 2, dove nei giorni normali attraccano gli yacht di grande stazza. I migranti sono quasi tutti a prua, in 274 a bordo, il carico più grande. Cominciano ad applaudire, prima battendo piano le mani, poi sempre più forte, in crescendo, fino a concludere con un grido di esultanza. Non c’è comitato di accoglienz­a, solo una stretta di mano tra il comandante e l’addetto portuale che ha diretto la manovra da terra. Alla fine l’enfasi è stata chiusa nel cassetto delle intenzioni.

L’odissea di Aquarius

L’attesa è tutta per l’aquarius e i suoi nove giorni di traversata. Per la nave di volontari alla quale è stato negato un porto italiano. Questa volta non si sentono applausi, ma solo un lungo canto, un coro stonato e festoso, che accompagna l’entrata in rada e la manovra di attracco ai piloni di acciaio. La nave di Sos Mediterran­ée e Médecins Sans Frontières è stata quasi svuotata. Porta solo 106 profughi, ma ormai rappresent­a un simbolo. «L’italia ci ha rifiutati, Dio no» raccontano abbia detto il primo migrante che ha toccato terra. Sembra uno slogan pronto all’uso, coniato per l’occasione.

Nel giorno dei buoni, Alì Koyu e il suo amico Nasir non riescono a dimenticar­e i cattivi. Il primo scopre una spalla dalla maglietta, per far vedere una serie di bruciature da sigaretta. Nasir, che sembra molto più giovane dei 18 anni dichiarati, zoppica in modo vistoso. I volti dei due ragazzi appaiono in modo fugace all’ingresso dell’hangar che fu della barca da competizio­ne Alinghi, dove i profughi che lo desiderano possono riposarsi prima di essere portati verso destinazio­ni a loro ancora ignote. Tempo massimo di permanenza previsto dal protocollo, un’ora. «Eravamo andati a Tripoli per trovare lavoro, ma laggiù noi nigeriani siamo odiati. Ci hanno chiuso in una stanza per cinque mesi, dopo averci rubato tutto. Fuggire, e cercare di venire in Europa, è stata l’unica soluzione possibile». I momenti peggiori del viaggio sull’aquarius sono racchiusi in quei due giorni di sospension­e, in 630 su una nave adibita al primo soccorso con una capienza massima di 520 persone, senza un porto dove riparare. «Faticavamo persino a muoverci. Per andare alla toilette bisognava scavalcare i corpi dei nostri compagni stesi a terra. C’era gente che piangeva, vomitavamo tutti, anche i bambini piccoli, e qualcuno ha pure tentato di buttarsi in acqua». I due ragazzi vengono subito presi in consegna dagli addetti alla sicurezza. I profughi vengono nascosti alla vista di tutti. Dicono che è questione di protocollo, anche se le stesse Ong avrebbero ogni interesse a rivelarne le facce e le voci, ma su questa scelta pesa anche l’incertezza del governo spagnolo sul loro status e sul loro destino.

Il ricordo a bordo

La rabbia rimane agli altri. A chi ha vissuto e condiviso con loro questi giorni. Nicola Stalla dice e non può dire, perché è consapevol­e di essere in mezzo a un gioco grande come il destino di migliaia di esseri umani. È un ex ufficiale della Marina mercantile, un quasi quarantenn­e di Alassio che dal 2016 dirige le operazioni di soccorso dell’aquarius. «Quella domenica mattina — racconta — il ministero dell’interno, tramite la Guardia costiera, ordinò di andare verso Nord. Messina o Trapani, ci dissero, vi facciamo sapere nel giro di quindici minuti. Tutto ha taciuto per due ore. “Siete in attesa, scusateci”. Evidenteme­nte al Viminale qualcuno si è svegliato e ha detto no, compiendo un gesto grave e irresponsa­bile».

Anche Claudia Lodesani si muove su un sentiero stretto. La presidente italiana di Msf è una infettivol­oga che ha trascorso l’ultimo anno nel Sudan del Sud. Adesso è qui sul molo 2, a cercare uno spazio dove spiegare le proprie ragioni. «Un’impresa difficile, in mezzo a tanta propaganda. Abbiamo chiesto un incontro a Matteo Salvini. Vorremmo fargli capire che non siamo avventurie­ri. E abbiamo cominciato a lavorare in mare proprio perché non c’erano navi italiane a sufficienz­a per salvare tutti i migranti». Intanto è scesa la sera. L’ultima nave del convoglio, l’orione della Marina militare italiana, passa quasi inosservat­a. La

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Faticavamo persino a muoverci C’era gente che piangeva, vomitavamo tutti, anche i bambini piccoli, e qualcuno ha pure tentato di buttarsi in acqua

La versione dell’ong «Prima ci dissero di andare a Messina o a Trapani, poi è arrivato lo stop dal Viminale»

marina di Valencia si svuota. Dicono tutti che dopo l’aquarius niente sarà come prima e ci saranno altre settimane come queste. Mentre andiamo via, incrociamo un pullman carico degli ultimi migranti appena sbarcati. Sono i minori non accompagna­ti, diretti ad Alicante. Hanno le facce incollate al finestrino, lo sguardo perso nel vuoto. Uno di loro accenna un sorriso, e saluta con la mano. Sarà anche un luogo comune. Ma basterebbe ricordarsi che le campane della chiesa di Santa Maria del Mar hanno suonato anche per noi.

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Il viaggio Uno dei migranti scende dall’aquarius

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