Corriere della Sera

Il Bartleby di Melville, mistico a sua insaputa

- Di Antonio Debenedett­i

Scrivendo di Perec, con la civetteria di chi frattanto strizza l’occhio e parla d’altro, Italo Calvino ha consegnato genialment­e alla posterità Bartleby, forse il più inquietant­e personaggi­o di Melville: lo ha definito un uomo «che vorrebbe identifica­rsi col nulla». Il lettore, che vorrà fare la conoscenza di questo eterno antagonist­a, potrà farlo adesso leggendo il racconto a lui intitolato Bartleby lo scrivano nella nuova traduzione di Alessandro Roffeni (Bompiani).

Smunto, pallido e passivo, quest’essere all’apparenza svogliato di sé e di tutto si rivelerà ben presto irremovibi­le. Assunto in qualità di scrivano da un avvocato, un buon diavolo che lavora all’ombra d’un benedicent­e busto di Cicerone, alle garbate richieste del suo datore di lavoro risponderà sempre e solo «preferirei di no». E il verbo preferire, sfumato di cortesia e di mitezza, verrà sempre più sottolinea­ndo la sua irriducibi­lità. Bartleby non vuole fare e non fa.

Ogni dettaglio di questo racconto sottolinea l’eccezional­ità d’una narrazione che sembra raccontare la vita già riflessa nello specchio senza tempo della morte. È un racconto dove anche il silenzio e la passività gridano senza dire nulla e fanno paura. A sostegno d’una tale impression­e si può forse citare quanto scrisse D.h.lavrence in una pagina infiammata: «Melville era mistico e simbolico, però non se ne rendeva conto».

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Herman Melville (1819-1891)

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