Corriere della Sera

Perché il lavoro intellettu­ale va riconosciu­to

- di Daniele Manca

L’era digitale si sta sempre più delineando come l’era dei paradossi. A cominciare da quello che potrebbe minare uno dei fondamenti principali delle comunità moderne: retribuire il lavoro di chi fornisce prodotti o servizi.

Èquello che si sta rischiando in queste settimane con un dibattito alimentato anche dalla persona che più di altri dovrebbe difendere chi produce: il ministro del Lavoro.

L’europa sta procedendo alla riforma del copyright per permettere a chi fa un lavoro intellettu­ale che venisse veicolato anche via Internet di essere retribuito. La commission­e giuridica dell’europarlam­ento ha dato il via libera alla nuova normativa la settimana scorsa per permettere che si arrivi al mercato unico digitale. Quel mercato unico che, come si è visto nel caso delle telecomuni­cazioni, ha portato enormi benefici in termini di prezzi ai consumator­i e diffusione delle tecnologie.

La normativa è entrata nel mirino delle grandi organizzaz­ioni dell’hi-tech. Dal loro punto di vista è comprensib­ile. In Italia quasi il 70% del tempo trascorso su Internet è speso su Whatsapp, Facebook, Google, Instagram e Youtube. Vale a dire su tutte applicazio­ni possedute dal duopolio Facebook-google. Grazie ai dati che noi forniamo loro più o meno coscientem­ente, possono sì fornirci servizi gratuiti, ma guadagnand­o miliardi come si vede dai loro bilanci, vendendo alla pubblicità e alle aziende l’enorme mercato che controllan­o.

Come interviene la direttiva Ue? Con due articoli. Sono il numero 11 e il 13. Il secondo è quello più generale. Si impone a piattaform­e comeYou tube oInst agra me ai maghi della tecnologia che le guidano, di installare filtri che permettano di individuar­e contenuti protetti da copyright. Si fissa cioè il principio che un lavoro intellettu­ale non perché semplice prodotto della mente, della creatività, che si tratti di uno spettacolo teatrale di una canzone o di un racconto, possa essere tranquilla­mente scambiato online senza che al lavoratore venga corrispost­o il minimo compenso.

A far comprender­e la posta in gioco sono i casi tedesco e spagnolo. Nei due Paesi dove hanno provato a introdurre delle forme di pagamento, Google ha sempliceme­nte lasciato il mercato. Minacciare la disapplica­zione della direttiva nel caso venisse approvata dall’europarlam­ento la settimana prossima come ha fatto il ministro Luigi Di Maio, costringer­ebbe l’italia ad azioni solitarie e probabilme­nte destinate all’insuccesso. Sempre che si sia d’accordo sul principio che anche il lavoro intellettu­ale distribuit­o online debba essere compensato al pari dei riders o di altre profession­i.

L’altro articolo, il numero 11, introduce il principio che le piattaform­e online debbano pagare nel caso utilizzino link di notizie prodotti da altri. A testimonia­nza di quanto sia in atto una battaglia culturale, la norma è stata battezzata furbescame­nte come link tax, cosa che non è. Si tratta del pagamento di informazio­ni, non di tassa.

Si prenda il caso dei cosiddetti «snippet». Molti aggregator­i cosa fanno? Mandano in giro i loro spyder, ragni elettronic­i, che prelevano dai siti di informazio­ne titoli, sommari, foto e qualche rigo di testo, per trasferirl­i su proprie piattaform­e. Anche qui in molti casi senza accordi o pagamenti con chi ha prodotto quelle informazio­ni.

Il ministro Di Maio parlando della normativa europea ha detto che quelle leggi «potrebbero mettere il bavaglio alla rete». Ma è evidente che non si sta mettendo in discussion­e il singolo utente che scambia idee o parti di contenuti (cosa ben diversa da veicolare interi film o romanzi o articoli), ma lo sfruttamen­to sistematic­o da parte di chi gode di posizioni dominanti sul mercato e si fa forte di questa distribuzi­one parallela per indebolire i produttori di contenuti.

Il ministro ha usato fortunatam­ente il condiziona­le. Se pensava a difetti di scrittura o tecnicalit­à che possono migliorare la direttiva a livello nazionale come peraltro previsto, è un conto; altro è mettere in discussion­e principi. Come retribuire il lavoro, anche intellettu­ale.

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