La sentenza Uefa
Milan, un anno fuori dalle coppe
La battuta più diffusa: e meno male che ci hanno messo una settimana per scriverla bene. Il dispositivo della sentenza Uefa sul Milan è un capolavoro di burocratese, che sembra fatto apposta per ostacolare la comprensione e alimentare dubbi. Ma andiamo oltre. Il Milan viene escluso dalle Coppe per una stagione e il sospiro di sollievo per quello di peggio che poteva essere secondo certe apocalittiche anticipazioni e non è stato, nulla toglie alla gravità del momento: la figuraccia planetaria resta. Detto questo: in attesa delle motivazioni che ci illumineranno (speriamo), nel dispositivo sparisce ogni riferimento a Yonghong Li, al suo rifinanziamento del debito e ai suoi futuri possibili inadempimenti, che invece erano state le ragioni principali del mancato consenso da parte della camera investigativa al settlement agreement. Restano solo le violazioni di bilancio del passato. Con tutto quello che ne consegue: cade almeno formalmente il pregiudizio verso il proprietario cinese, cade anche l’elemento che rendeva più illogico il ragionamento dell’uefa, ma rischia di essere disinnescato anche l’argomento sul quale il Milan sembrava puntare per l’appello: il cambiamento nell’assetto societario. Anche presentarsi al Tas con il nuovo proprietario potrebbe essere infatti irrilevante. Poiché si impugnano le sentenze dei tribunali e non i mancati patteggiamenti con la procura, al Tas si dovrà puntare sull’eccessiva severità della decisione rispetto ad altri casi. La sentenza, come detto, si riferisce agli inadempimenti della vecchia gestione: che, sia chiaro, esce ammaccata dal provvedimento Uefa, sotto il profilo dell’immagine, tanto quanto l’attuale. Perché se è vero che con un altro proprietario, più solido e trasparente, forse si sarebbe raggiunto un settlement agreement, e se è vero che la colpa dell’attuale management è di non aver saputo intercettare gli umori di Nyon, non è certo innocente chi non si è curato, per tre anni, di avere bilanci virtuosi.