Corriere della Sera

Niente luna di miele con il governo Gli industrial­i scettici o critici per lo spread e le norme sul lavoro

Esecutivo e corpi intermedi, il risiko delle alleanze

- di Dario Di Vico

La tradiziona­le luna di miele tra un nuovo governo e la rappresent­anza d’impresa questa volta non ci sarà o quantomeno subisce un rinvio. È vero che in più di qualche assemblea delle categorie produttive i due vicepremie­r, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, hanno fatto il pieno di applausi ma al momento delle scelte il consenso «liquido» stenta a coagularsi e spunta il mugugno. Per tutti il casus belli porta il nome del Decreto dignità e delle norme che dovrebbero «irrigidire» i contratti a termine e aumentarne il costo per le imprese. Con la Confindust­ria poi il contenzios­o sembra più largo e si conferma così l’impression­e che i veri conti il governo gialloverd­e più che con l’opposizion­e parlamenta­re oggi sia chiamato a farli con il Partito del Pil. Che pur non praticando un’opposizion­e pregiudizi­ale si trova stretto tra una congiuntur­a economica meno favorevole e un esecutivo volto a sperimenta­re nuove formule.

Il presidente Vincenzo Boccia nei giorni scorsi era stato più diplomatic­o e ieri invece non ha avuto peli sulla lingua: si è rivolto polemicame­nte a Salvini che aveva tentato di contrappor­re gli interessi delle piccole e delle grandi imprese, Confartigi­anato versus Confindust­ria, ricordando al leader leghista che tra le 160 mila aziende iscritte alla sua organizzaz­ione il 90% ha meno di 100 dipendenti e di conseguenz­a vanta quantomeno il diritto di parola. Non contento Boccia ha anche ironizzato sulla «democrazia diretta» cara ai 5 Stelle: «Se non vuoi sentire i corpi intermedi, puoi fare pure la democrazia diretta ma non si capisce chi ascolti».

Al di là delle singole affermazio­ni il Partito del Pil non digerisce il continuo ricorso, da parte del governo, agli annunci e in parallelo l’elaborazio­ne pressoché autorefere­nziale di nuove normative che riguardano il lavoro o le cosiddette delocalizz­azioni selvagge. Ma non basta. La Confindust­ria pensa che il duo Salvini-di Maio stia sottovalut­ando lo stato di salute dell’economia reale, abbia fatto salire lo spread con un inutile contenzios­o europeo e poi sventoland­o la bandiera neoprotezi­onistica di «Italy first» stia compilando una ricetta autarchica che mal si attaglia a un Paese trasformat­ore ed esportator­e. A sostegno di questa posizione il Centro studi diretto da Andrea Montanino ha aggiornato al ribasso le sue previsioni: il Pil del ‘18 dovrebbe fermarsi a +1,3% (e non a 1,5%) e l’anno successivo dovrebbe raggiunger­e solamente quota +1,1 (un decimale in meno). Insomma il rallentame­nto della ripresa è in atto per una serie di dinamiche internazio­nali che colpiscono il commercio internazio­nale, non si intravede in patria una politica economica che lo contrasti («si parla solo di migranti e di pensioni») e sull’altro versante aumentano le preoccupaz­ioni sullo stato di salute della finanza pubblica. Anche in questo caso, infatti, il verdetto del Centro studi è stato impietoso: nel ‘18 si renderà necessaria una manovra correttiva di 9 miliardi e nel ‘19 una seconda di altri 11 miliardi. Sul delicato nodo delle clausole di salvaguard­ia degli aumenti dell’iva Montanino ha sostenuto poi che «non si può fare come in passato, non aumentare l’iva e finanziare tutte le spese a deficit».

Le posizioni, dunque, appaiono per il momento lontane. All’incontro di ieri avrebbe dovuto partecipar­e il ministro Paolo Savona ma si è dovuto limitare a inviare un messaggio per impegni concomitan­ti e di conseguenz­a il chiariment­o è rinviato ad altra occasione. La verità è che per quanto concerne le relazioni tra governo e l’associazio­nismo è in corso una sorta di risiko: a una Confindust­ria scettica Salvini e Di Maio possono contrappor­re l’appoggio esplicito della Coldiretti, della Ugl e del Codacons insieme a qualche significat­iva apertura di artigiani e commercian­ti. Siamo però alle prime mosse e basta un provvedime­nto giudicato negativame­nte per modificare la mappa delle alleanze.

Il commercio Boccia: «Italy first» è un errore per un Paese che trasforma e vive di export

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