Corriere della Sera

Negoziare con Trump? Un sogno (clandestin­o) in Iran

- Di Franco Venturini

Se Donald Trump ha quasi abbracciat­o Kim Jong-un che ha un arsenale nucleare, perché l’iran che non lo possiede rifiuta di negoziare con lui?

Detta così, e detta da cento politici iraniani, la proposta assume il sapore di una provocazio­ne temeraria. A Teheran non soltanto i conservato­ri e l’ayatollah Khamenei, ma anche i riformisti del presidente Rouhani hanno preso malissimo l’uscita unilateral­e degli Usa dal patto anti-bomba sottoscrit­to nel 2015. L’iran non discuterà accordi diversi, questo è stato da subito il verbo comune.

Poi, sembrerebb­e, la realtà ha cominciato a farsi strada. Gli europei non rinnegano l’accordo? Lo dovranno fare, sotto la minaccia delle sanzioni americane. Trump ci ripenserà? Nemmeno per sogno, sono in arrivo nuovi pesantissi­mi castighi e la vitale vendita di petrolio agli europei dovrà cessare del tutto entro il 4 novembre. L’arrivo di una autentica catastrofe economica è stata subito percepita dalla popolazion­e, ed è ripresa la repression­e delle proteste di piazza che crescono di pari passo con l’aumento dei prezzi.

In questo clima, il 12 giugno scorso anche l’iran ha visto sui telescherm­i gli ampi sorrisi e le interminab­ili strette di mano tra Donald Trump e Kim Jong-un. Anche gli iraniani hanno assistito a scambi di promesse che sembravano inverosimi­li, a offerte di pace e di benessere per uno dei popoli più poveri del mondo. Forse è scattata in quel momento, la voglia di provocazio­ne. Perché loro sì e noi no? Perché non negoziare con Trump, non offrirgli nuovi motivi per diventare un eroe mondiale della pace? Perché non gridare «Iran first» , invece di spendere risorse per la Siria, per Hezbollah, per lo Yemen?

L’appello dei cento, secondo quanto ha riferito il Financial Times, ha come punto di riferiment­o politico Faezeh Hashemi Rafsanjani, figlia dell’ex presidente dell’iran morto lo scorso anno. Ma Faezeh non è sola, perché l’idea di rompere l’isolamento economico dall’occidente e di mettere alla prova Trump è (clandestin­amente) molto diffusa in una società composta soprattutt­o da giovani. Soprattutt­o ora che Kim ha inconsapev­olmente alimentato la voglia di una svolta, e che cento personalit­à si sono esposte. Allora, cambierà qualcosa?

Occorre dirlo, è assai improbabil­e. I «cento» sono isolati nel potere interno iraniano, e le proteste di piazza per ora non aiutano a schivare le accuse di tradimento. Trump, da parte sua, ha posto condizioni capestro per parlare con Teheran e togliere le sanzioni vecchie e nuove: di fatto una resa regionale dell’iran e una totale riscrittur­a delle clausole anti-nucleari, il che non escludereb­be l’uso della crisi economica come leva per ottenere un «regime change» a Teheran. Eppure quel Kim, quei sorrisi, quei filmati su come potrebbe diventare la Corea del Nord… Che rabbia, deve tormentars­i Faezeh.

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