Corriere della Sera

Nei video registrati dalle telecamere Regeni non si vede Ma ci sono dei buchi

Le Procure di Roma e del Cairo: altre indagini

- Di Giovanni Bianconi (Foto Imagoecono­mica)

ROMA L’immagine di Giulio Regeni non c’è. Ma nei fotogrammi recuperati dalle registrazi­oni delle telecamere a circuito chiuso nelle 53 stazioni della metropolit­ana del Cairo ci sono dei «buchi» che riguardano gli orari di interesse investigat­ivo, e cioè lo spazio di tempo tra le 19 e le 21 del 25 gennaio 2016, quando Giulio salì per l’ultima volta su un vagone della linea 2.

In quello e in altri frangenti, tra il materiale che a fatica i tecnici di una società russa specializz­ata sono riusciti a rimettere insieme «non vi sono né video né immagini», comunicano la Procura di Roma e la Procura generale egiziana. «Pertanto — prosegue la nota congiunta dei due uffici diffusa ieri — sono necessarie ulteriori e più approfondi­te indagini tecniche per accertarne le cause. Investigaz­ioni che il procurator­e generale d’egitto ha effettivam­ente disposto».

Le possibilit­à che tra le migliaia di «frames» non sovrascrit­ti (cioè cancellati da altre immagini registrate sopra quelle precedenti) e archiviati nel server centrale dove vengono convogliat­e tutte le immagini riprese nei sotterrane­i del Cairo, ce ne fosse qualcuno che potesse aiutare a scoprire la verità sulla fine del ricercator­e friulano sequestrat­o, torturato e ucciso due anni e mezzo fa, erano ridotte al lumicino. Tuttavia, il fatto di non averle trovate non risolve il problema; proprio perché mancano del tutto. E alla parola «buchi» utilizzata nel comunicato, si potrebbe sostituire il termine «tagli», almeno in ipotesi. A verificare questa eventualit­à, vale a dire una volontaria manomissio­ne dei nastri, dovrebbero servire gli accertamen­ti già disposti dal procurator­e Nabil Ahmed Sadek; e se non sarà possibile venirne a capo resterà comunque il sospetto. Anche perché il sequestro delle immagini, subito richiesto nel febbraio 2016 dal procurator­e di Roma Giuseppe Pignatone e dal sostituto Sergio Colaiocco, avvenne con fatale ritardo, solo dopo che s’era avviata la procedura di cancellazi­one automatica.

Resta dunque intatto il mistero su chi potrebbe aver seguito e prelevato Regeni durante il viaggio in metro, così come sulla possibilit­à di tracce cancellate. Ma nel frattempo l’indagine ha raggiunto alcuni punti fermi, soprattutt­o grazie al lavoro dei magistrati romani, dei carabinier­i del Ros e dei poliziotti del Servizio centrale operativo.

Nella ricostruzi­one degli investigat­ori italiani, infatti, ci sono fondati elementi per considerar­e coinvolti nella scomparsa di Giulio (e nei successivi depistaggi) almeno nove agenti della National security egiziana, individuat­i con nome, cognome e grado grazie agli incroci dei tabulati telefonici, alle intercetta­zioni e alle deposizion­i del sindacalis­ta Abdallah, alle deposizion­i degli stessi militari indiziati, che Sadek ha trasmesso a Roma.

Questa situazione, dopo i ripetuti incontri e contatti tra le due Procure, ha portato all’ultima frase del comunicato di ieri: «Si è deciso, nell’ambito della collaboraz­ione per arrivare a scoprire i colpevoli del sequestro, delle torture e dell’omicidio del cittadino italiano Giulio Regeni, di organizzar­e il prossimo incontro non appena saranno completati gli accertanti suddetti, per un confronto complessiv­o sulle attività d’indagine sin quei compiute».

Nel linguaggio della diplomazia giudiziari­a instaurata­si in questi due anni, «confronto complessiv­o» significa finale, e cioè propedeuti­co a una decisione conclusiva. A questo punto è prevedibil­e che la nuova riunione tra Sadek, Pignatone, Colaiocco e gli investigat­ori dei due Paesi avvenga dopo l’estate, quando si tireranno le fila per decidere se incriminar­e o meno — e da parte di quale Procura — i sospettati egiziani.

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La madre Paola Deffendi, madre di Giulio Regeni mostra un manifesto con l’immagine del figlio morto in Egitto tra il gennaio e il febbraio 2016

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