Corriere della Sera

De Crescenzo: le storie, la vita

Lo scrittore (e ingegnere, regista, attore) si racconta alla soglia dei 90 anni

- Di Carlo Baroni

La vita si può attraversa­re. Passeggiar­ci dentro. Esplorarla, persino. Può essere un paradiso da camminarci a piedi scalzi o un inferno che neanche con le scarpe chiodate. Qualche volta ti viene da pensare di essere stato il primo a capire, a intuire come va il mondo. Ma non crederci. Ognuno vede le stesse cose, ma è il modo di raccontarl­e che è diverso. Luciano De Crescenzo non fa eccezione. Sono stato fortunato, il suo nuovo libro (Mondadori), non è (solo) un’autobiogra­fia. È un’ammissione di colpe. Mai di rimpianti. Per questo il giudice archivierà il caso. L’autore ci ha trovato pronti gli ingredient­i giusti. Una famiglia che a raccontarl­a ci vorrebbe un romanzo. Una location, Napoli, che è nata già per essere una storia. Due mestieri che sono anche due vite. Ingegnere e scrittore. E vale anche il contrario.

Si comincia da lontano e quasi per caso, sempre che ci sia ancora qualcuno che crede davvero al destino. Luciano non doveva neanche nascere. Mamma e papà si sposano tardi. A metterli insieme ci pensa ’onna Amalia ’a Purpessa, sensale di matrimoni. E poi c’è ancora chi dice che le nozze combinate non funzionano. Mamma Giulia è così eccezional­e che anche quando sbaglia fa la cosa giusta. Inevitabil­e dedicarle il libro. E la mammitudin­e italiana qui c’entra e non c’entra. Come quando Luciano chiede l’annullamen­to alla Sacra Rota e lei è divisa tra amore per il figlio e rispetto per la verità. Ma questa è un’altra storia. Di un amore che non è mai finito anche quando i due sono diventati ex. E una figlia e poi un nipote che sono più di un collante per tenere insieme tutto e per sempre. Prima c’erano stati gli amori e la scuola. L’università e gli esami preparati in una casa di appuntamen­ti, che detto così sembra brutto ma, forse, era il meglio che potesse capitare.

Il piccolo De Crescenzo cresce al balcone, che è come guardare una cartolina con i peggio (o i meglio) stereotipi su Napoli: il Vesuvio, il Golfo, Posillipo. Un imprinting che ti lascia il segno della bellezza stampato sulle cornee. Capisci che, a questo punto, la fortuna te la sei trovata servita sul davanzale della finestra. Che, poi, fortuna non vuol dire che tutto fila liscio. E grazie al cielo. Negli occhi e nella penna di De Crescenzo c’è sempre qualcosa che a pensarci anche tu avevi visto ma non hai saputo cogliere così bene. «Scrivere un libro è un mestiere, fare un film, invece, può essere anche un vizio» dice lui. Ma ci sono mestieri che non sono lavori. E vizi che non ti portano alla perdizione. Che poi per Luciano lo scrittore e il regista (ma anche l’attore) vengono sempre dopo. In senso cronologic­o, almeno.

Prima c’era l’ingegnere dell’ibm. Un lavoro (o un mestiere?) avanti con i (suoi) tempi. In mezzo, ma solo per diletto, anche uno squarcio da atleta e da cronometri­sta. Roba importante. C’era De Crescenzo, per esempio, il 3 settembre 1960 allo stadio Olimpico di Roma, con un cronometro in mano a contare i venti secondi e cinque centesimi che impiegò Livio Berruti a correre i duecento metri che lo dividevano da un oro che non si dimentica. Il campione primo di una lista di star incrociate in una esistenza giocata a tuttocampo. Con un ricordo che non sbiadisce: Federico Fellini, un napoletano nato per sbaglio in Romagna. Ma se si parla di cinema c’è solo un uomo da ricordare: er Panciera, il tuttofare trovato sul set. Difficile dire cosa fa, perché fa tutto, ed è tutto: «er Panciera è furbo, cinico, volgare, inarrestab­ile, camaleonti­co, umile con i registi, protervo con le comparse». Un esemplare da studiare, quasi, ma siamo su un altro piano, come i «filosofi» della portineria accanto o del bar di sotto. Gli ispiratori di Bellavista e dell’uomo di amore e di libertà. Quelli che gli faranno comprender­e la sottile (larga o chissà come?) differenza tra un partenopeo e un milanese.

«La napoletani­tà era per me il dialogo, i rapporti interperso­nali, la musica, il sentimento e tutte quelle manifestaz­ioni umane di cui più sentivo la mancanza a Milano». Che, però, regalava altre visioni del mondo: «La milanesità, invece, era il rispetto per il prossimo, la capacità di mettersi in fila, la puntualità e il senso civico». Al punto che quando sei a Napoli parli bene di Milano e

Destino

Luciano non doveva neanche nascere, i genitori si sposarono tardi: nozze combinate

Nord e Sud

«La napoletani­tà era il dialogo, il sentimento. La milanesità era il rispetto per il prossimo»

quando ti trovi a Milano ti viene voglia di esaltare Napoli. La fortuna è esserci stato qui e là. Prendere il bello e anche il buono. Riconoscer­e i lati oscuri. Capire che il segreto è mettere insieme le diversità, senza credere che il tuo stare al mondo è meglio. Come la tua donna che, spiega De Crescenzo, è sempre la stessa anche se cambia nome, età e lavoro. Sei tu che cambi sempre. La freschezza di chi ha 90 anni (in agosto) ma ne dimostra 64, anche se a lui paiono 63. «Del resto, se ci pensate bene, l’orologio è soltanto un oggetto che segna il tempo. Il suo tempo».

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Luciano De Crescenzo (foto Imagoecono­mica) è nato a Napoli il 20 agosto del 1928

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