NAVIGATORI DEL TEMPO
L’appuntamento Genova coinvolta in una festa di musica e cultura da Costa Crociere che compie 70 anni. E che, come altre dinastie di armatori liguri, ha reinventato il dna del territorio INTUITO E LEGAMI CON LA CITTÀ RITRATTO DI FAMIGLIA (IN MARE)
Armatô a Zêna? Un armatore a Genova? Ma che domanda! Hai presente i panda? Non è che sono tutti spariti, ma sono una razza in via di estinzione». Il vecchio portuale in pensione che ha passato una vita a caricare e scaricare sacchi di juta pieni dalle navi mercantili e poi è passato a tirar su e giù scalette per far salire e scendere i passeggeri dalle navi da crociera esagera con il pessimismo (un classico qui a Genova), ma dice una solenne verità.
Di quei nomi che suonavano solenni in città resta soltanto un’eco lontana. Costa risuona ancora con la Costa crociere ma si parla in un’altra lingua, l’inglese delle multinazionali. Non più l’italiano corretto in pubblico e il genovese con amici e parenti che usava il patriarca Angelo non a caso anche presidente di Confindustria negli anni della ricostruzione italiana del Dopoguerra.
Un uomo potente che nascondeva la sua forza economica e politica sotto il classico understatement genovese. La sua flotta dominava i mari, portava merci e passeggeri, non c’era porto dove la sua compagnia di navigazione non fosse conosciuta.
Vestito in maniera elegante e sobria, preferiva gli abiti grigi ma non troppo scuri e nemmeno troppo chiari. Cattolico, liberale, rispettoso delle istituzioni era, come si diceva, un patriarca. Tanti figli, tantissimi nipoti, aveva stabilito una regola ferrea: i maschi allo «scagno», a lavorare in ditta, le donne venivano «liquidate» con tanti soldi ma non avevano voce in capitolo nella gestione dell’azienda di famiglia. Negli anni del boom non si è mai azzardato a girare per le strade di Genova con un’auto che fosse più presuntuosa di una Millecento Fiat (aveva anche una Lancia Fulvia ma la esibiva poco).
Tutto il contrario del suo collega-rivale Alberto Ravano che arrivò ad avere più di ottanta navi. Il figlio di Alberto, Carlo, ha voluto rimarcare la differenza tra le due grandi famiglie di armatori genovesi con un libretto intitolato «97 traversate» (quante ne ha fatte lui dell’atlantico). Poco rispettoso del parlare a bassa voce, che invece è tipico dei genovesi, Carlo si è lasciato andare a una colorata aneddotica.
Racconta di quanto i Ravano fossero cosmopoliti: noi parlavamo almeno tre lingue, i Costa no. Di quanto le signore Ravano fossero «eleganti e bellissime» mentre le Costa erano «dimesse, tendenti allo sciatto». Parla dello splendore e del benessere di Genova, città «matrigna» che lo fece emigrare a Montecarlo. Delle macchine i Ravano sono sempre stati appassionati: alle Fiat dei Costa rispondevano con Ferrari, Mercedes, fuoriserie come la Lancia Bilambda.
Ma i grandi armatori genovesi sono stati anche altri. Come dimenticare i Cameli? Nella famiglia entrò Daniela Bianchi, la prima Bond girl italiana (Tatiana Romanova in «Dalla Russia con amore») andata in sposa ad Alberto Cameli. Ma non fu certo questo l’unico merito.
O la famiglia Fassio. Con il fondatore della compagnia di navigazione, Ernesto, il primo a capire che gli americani, subito dopo la guerra, ti davano per quattro lire le loro navi «Liberty» e tu potevi usarle per costruire un impero del mare. I nomi sono tanti, sono stati tanti, ma non splendono più come in quegli anni d’oro anche se molti armatori hanno trovato strade alternative. Come i Costa che dall’acqua dei mari sono passati all’acqua degli acquari che è «edutainment», cioè attività culturali, ricreative, di studio, ricerca scientifica, ma anche un bel business. O sono tornati alle origini riproponendo il mitico «Olio Costa».
Chi naviga ancora, con il suo nome ben esposto sulle murate, le fiancate, delle sue navi è l’armatore Messina.
Ma, come dice un esperto di shipping sessantenne, «quando ero ragazzino e facevo il fattorino consegnavo venti buste al giorno agli armatori. Oggi chi fa quel lavoro, una ogni tanto».