Corriere della Sera

L’anima ligure di Moreno «Siamo figli di De André E in questa città il talento non ha bisogno dei talent»

- Di Stefano Landi

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S e nasci a Genova, non puoi non aver avuto la fortuna di ascoltare Fabrizio De André o Gino Paoli fin dai tempi in cui orgogliosa­mente indossavi il pannolino. Moreno Donadoni (ma basta Moreno), 28 anni, primo rapper a prendersi la scena in tv grazie a Maria De Filippi ad «Amici», nei carruggi di Genova ci è nato, cresciuto ed è pure tornato a viverci dopo una parentesi metropolit­ana necessaria a Milano. Mamma di Palermo, papà napoletano: un ragazzo di mare a tutti gli effetti. Il 7 luglio sarà anche lui sul palco del (suo) Porto Antico.

Mettiamola così: anche lei non può vivere senza il richiamo della foresta della scuola genovese?

«Da piccolo ho iniziato a rappare presto: ascoltavo Fibra, Neffa. Non ero uno di quei ragazzini che pensa solo all’america. Mi ricordo il giorno in cui ho realizzato che anche noi avevamo i nostri mostri sacri. Inutile mettere la maschera e fare il gangster. Sarebbe finzione. Nelle mie cuffie d’infanzia c’era tutta la discografi­a di De André. È lui il nostro Tupac».

Cosa le ha insegnato questa città?

«Mi ha fatto sentire in colpa. Perché in giro vedo e sento artisti di talento. Che magari si esibiscono in un angolo di strada. Io, pur avendo fatto la gavetta, sono sbarcato in tv in prima serata».

Un pioniere?

«Non credo, sempliceme­nte doveva succedere. Il

«Giocavo nei pulcini del Genoa da bambino. Non mi dispiacere­bbe in un eventuale futuro senza musica, prendere il patentino di talent scout del calcio».

Nella Nazionale Cantanti è uno dei migliori...

«Da juventino, il ricordo del tunnel a Pavel Nedved resta indelebile».

Non la prese bene: reagì con una sonora scarpata...

«Aveva il diritto di rompermi una gamba. L’avrei presa come un titolo di merito. Comunque il ricordo di quella Partita del Cuore è indelebile: penso sempre che 17 anni prima vedevo la Nazionale Cantanti nella curva di Marassi a Genova insieme ai miei compagni di classe».

Con questi ragazzi parlate anche di musica?

«Certo, mi chiedono pareri. Sono una generazion­e molto preparata. Il rap è un po’ la loro colonna sonora naturale, ma sono contento quando mi parlano di artisti di altri generi. Sanno che arrivo dagli stessi marciapied­i, conoscono le mie cose meno commercial­i. Come avessimo un rapporto diretto».

La scuola genovese (e

In giro qui vedo artisti di grande valore. Che magari si esibiscono in un angolo di strada

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