Corriere della Sera

A processo l’azienda che scaricò le intercetta­zioni di 37 Procure

- Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

MILANO Chi si appassiona al neo ministro della Giustizia che dichiara di voler bloccare la nuova legge sulle intercetta­zioni, chi invece si accapiglia su cosa vorrebbe pubblicabi­le o meno: ma nessuno continua a occuparsi di quel gigantesco problema (tecnico, finanziari­o ma soprattutt­o di garanzie) che è il rapporto tra l’attività giudiziari­a e le società private che da anni forniscono la tecnologia delle intercetta­zioni ordinate dai giudici su richiesta dei pm. Eppure, intanto, scricchiol­ii si avvertono. Ieri a Milano, ad esempio, all’esito di una storia che qui si portò a galla dopo uno spunto della Procura di Trieste, la giudice Anna Calabi ha rinviato a giudizio al 18 febbraio 2019 davanti al Tribunale di Busto Arsizio una delle 4 maggiori società private di intercetta­zioni, «Area», e il suo socio unico Andrea Franco Formenti: l’ipotesi è «accesso abusivo a sistema informatic­o», per aver indebitame­nte «scaricato» a distanza dai server delle Procure, e conservato su 12 postazioni in azienda a Vizzola Ticino (dove furono trovate asseritame­nte per attività di manutenzio­ne) migliaia di spezzoni di fonìe, sms, numeri e nomi che per legge sarebbero dovuti stare solo sui server delle 37 Procure che li avevano intercetta­ti nel 2009-2016 (da Roma a Palermo, da Napoli a Reggio Calabria, da Torino a Catania), e che al pm milanese Piero Basilone hanno risposto di non aver mai autorizzat­o lo «scarico» in manutenzio­ne.

«Rimaniamo convinti che la complessit­à oggettiva della materia abbia impedito la piena comprensio­ne dei fatti», commenta la società, aggiungend­o che «le stesse Procure sono state oggetto di rilievi puntuali da parte del Garante della Privacy», e che «solo di recente l’evoluzione della normativa e le prassi delle Procure iniziano a considerar­e temi di enorme rilevanza come la suddivisio­ne dei ruoli, le procedure organizzat­ive e le misure tecniche volte a garantire gli standard di sicurezza».

«Area» (per la quale a Busto una archiviazi­one ha invece chiuso l’altro filone sull’esportazio­ne di prodotti in Siria, per il quale c’era stato anche un sequestro di 7 milioni) si ritiene «ingiustame­nte coinvolta perché scontiamo il fatto di essere stati pionieri in questo settore. Siamo amministra­tori di sistema e depositari di password, altrimenti non potremmo dare assistenza: come si può parlare di accesso abusivo?».

Fatto sta che, in attesa di capire le intenzioni del nuovo governo, le Procure procedono come sonnambule in ordine sparso: c’è chi non si pone proprio il problema, chi cerca di fare tutto da sola, chi continua a lavorare con società indagate, e chi compila liste di «buoni» o «cattivi» fornitori con parametri artigianal­i che finiscono impugnati al Tar.

La difesa «Noi pionieri nel settore, non avremmo potuto fare la manutenzio­ne»

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